♦ Il mare nostrum è diventato un cimitero. Da bacino di civiltà a confronto, ponte fra Oriente e Occidente, culla della filosofia del mondo che nel corso dei millenni ha gestito le contraddizioni più terribili e dolorose, riuscendo a sanare con il suo tiepido sole e i suoi frutti succulenti ferite profonde, adesso sembra affogare esso stesso nella disperazione e nella morte. Le drammatiche vicende degli ultimi giorni, al di là delle reazioni emotive e spontanee dettate dalla violenza della notizia, delle cifre e delle immagini, devono far riflettere seriamente tutti ed aprire spazi ad azioni concrete che sollecitano le responsabilità ad ogni livello, da quelli istituzionali locali, nazionali, europei e mondiali, all'agire quotidiano dei rapporti e delle solidarietà delle singole comunità. Agire ed operare concretamente.
Perché allo stato attuale della situazione e delle prospettive a breve e medio termine, non c'è più spazio per proclami o avventurismi di sorta, che aggiungerebbero alle ennesime tragedie senza fine un elemento di goffo cinismo. Come non si stanca di ribadire fin dall'inizio del suo pontificato papa Francesco (che veramente rappresenta un autentico baluardo di umanità in un mondo di violenze, falsità e grettezza), il problema va affrontato alla radice, reimpostando fin dai rapporti elementari fra le persone, un nuovo sistema di relazioni basate sull'attenzione verso l'altro, sul rispetto e sulla solidarietà, rifiutando ogni logica aberrante di rifiuto e sommaria negazione dell'uomo. Un atteggiamento solidale che costruisce in positivo, sul sì verso il diverso in tutte le sue accezioni, che vive le contraddizioni non con la chiusura e il pregiudizio violento ed intollerante, ma con lo spirito semplice dell'accoglienza e della fraternità. Atteggiamenti fondamentali se si vuole veramente andare incontro e gestire queste ondate umane, destinate a diventare milioni di individui nei prossimi mesi ed anni.
Ma questo è soltanto l'elemento che dovrà puntare a far sentire meno stranieri e meno estranei i tanti disperati che fuggono ogni tipo di violenza, guerra, miseria, ingiustizia, sfruttamento, negazione del diritto ad una vita degna di essere chiamata tale. Il resto lo devono fare i Governi del Mondo che sanno, se vorranno, come affrontare alla radice contraddizioni e conflitti, smettendola, soprattutto gli occidentali, nel continuare con la gestione coloniale dei territori e delle risorse, razziando le ricchezze dell'Africa, finanziando regimi dittatoriali e sanguinari, armando fazioni in lotta e alimentando guerre regionali che innescano teorie infinite di violenze e odi a sfondo etnico e religioso.
Le emergenze non si affrontano alzando i muri della divisione e del rifiuto, ma affrontando ed eliminando alla radice le cause che le determinano. Un cambiamento reale di atteggiamento che è innanzitutto un nuovo approccio culturale e organizzativo che parta innanzitutto dall'abolizione di aberranti norme tipo quella italianissima del reato di immigrazione clandestina, che colpisce non solo i disperati trasportati dalle carrette del mare, ma paradossalmente anche coloro che intervengono per tentare di salvar loro la vita. Norme di estrema inciviltà che rivelano tutta la loro tragica e paradossale comicità nelle notizie diffuse oggi dalle quali apprendiamo che i 155 superstiti, fra cui tante donne e bambini, sono stati incriminati proprio per quel reato.
Ma che Paese e che Mondo è questo ? Se lo chiedono i sopravvissuti e se lo chiedono tutte le coscienze normali di fronte al raccapricciante spettacolo delle 111 salme ripescate e di tutti quelli (sarebbero 252) che giacciono all'interno del barcone in fondo al mare.