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La rilevanza intellettuale e morale di Antonio Gramsci nel panorama culturale del Novecento

ITALIA - "La rilevanza intellettuale e morale di Antonio Gramsci nel panorama culturale del Novecento costituisce un significativo riferimento di studio e approfondimento per le studentesse e gli studenti del nostro Paese".
Così conclude la nota del Direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca Carmela Palumbo che ha per oggetto "Anniversario della morte di Antonio Gramsci" (MIUR.AOODGOSV.REGISTRO UFFICIALE(U). 0004915.04-05-2017)

La comunicazione, che di seguito pubblichiamo integralmente, è stata indirizzata a tutte le strutture centrali e periferiche della Scuola.

"Tra le iniziative intraprese dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca in questi mesi per promuovere una scuola aperta, inclusiva, innovativa in grado di rispondere alle richieste della società democratica contemporanea, c'è anche quella di ricordare la vita e l'opera di significative personalità, che hanno contribuito da diverse culture e sensibilità, in differenti contesti e realtà, con vari approcci e orientamenti, a prospettare e realizzare i valori di una concezione democratica dell'educazione.
A ottant'anni dalla morte di Antonio Gramsci si invitano le scuole a riflettere sulla sua figura e sul suo pensiero, utili per comprendere la complessità del presente che viviamo e le sue radici storiche, per promuovere occasioni di studio, ricerca e approfondimento. Tra i suoi scritti ancora oggi letti e tradotti in tutto il mondo, le Lettere dal carcere e i Quaderni del carcere, si ritrovano temi importanti della sua eredità culturale particolarmente significativi per il mondo della scuola.

1 - Il valore e il concetto di cultura
Gramsci ci ricorda che la cultura non è solo conoscenza enciclopedica, ma una cosa ben diversa: «Bisogna disabituarsi e smettere di concepire la cultura come sapere enciclopedico, in cui l'uomo non è visto se non sotto forma di recipiente da empire e stivare di dati empirici; di fatti bruti e sconnessi che egli poi dovrà casellare nel suo cervello come nelle colonne di un dizionario per poter poi in ogni occasione rispondere ai vari stimoli del mondo esterno».
Gramsci mantiene netto l'impegno per il rigore degli studi e il rifiuto di abbassare la cultura per metterla al livello di chi non sa: «occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato» (Quaderno 12, p. 1550). E ancora: «Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza» (Quaderno 12, p. 1549).
Inoltre Gramsci sottolinea l'importanza di diffondere il sapere: «Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente delle scoperte "originali", significa anche e specialmente diffondere criticamente delle verità già scoperte, "socializzarle" per così dire e pertanto farle diventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intellettuale e morale. Che una massa di uomini sia condotta a pensare coerentemente e in modo unitario il reale presente fatto "filosofico" ben più importante e "originale" che non sia il ritrovamento da parte di un "genio" filosofico di una nuova verità che rimane patrimonio di piccoli gruppi intellettuali» (Quaderno 11, pp. 1377-8).

2 -L'importanza della scuola
Già a dodici anni, nel tema di licenza elementare - "Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?" - Antonio Gramsci aveva scoperto il valore insostituibile della scuola e dello studio, "unica speranza di vivere onoratamente", e così scriveva:
Ghilarza, addì 15 luglio 1903 Carissimo amico,
Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stai bene di salute. Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non riprenderai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelligente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no resteremo zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna.
Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi.
Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono andare che alla scuola serale.
Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio "l'ozio il padre dei vizi." Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Francesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillantissima, andava ai teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli dà sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare.
Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito. Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i beni possibili.
Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non adularti come molti.
Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal Tuo aff.mo amico Antonio

3 - Cultura, scuola e linguaggio
Il contributo di Gramsci agli studi sulla lingua e indirettamente anche all'educazione linguistica è ricavabile da tutti i suoi scritti: da quelli destinati alla stampa ai Quaderni del carcere, che si chiudono con le "Note per un'introduzione allo studio della grammatica". A parte gli studi specifici di Glottologia, Gramsci rientra a pieno titolo in quella parte della cultura italiana che, a partire da Dante, non poteva non interrogarsi sullo strumento linguistico che usava. E nel fare questo era inevitabile scoprire i limiti dalla sua reale utilizzabilità nella società italiana dell'arretratezza sociale, della frantumazione politico-sociale e della scarsa popolarità della cultura intellettuale. Innanzitutto a Gramsci era chiara la centralità del linguaggio, della lingua e dei dialetti, nello sviluppo di ogni essere umano sia come singola persona sia come parte della collettività."

05/05/2017
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