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Capriolo morto: esclusi pericoli epidemie

Il rinvenimento di due caprioli morti a distanza di due mesi l’uno dall’altro sulle rive del fiume Argentino, all’interno della riserva naturale omonima, ha richiamato l’attenzione delle autorità del Parco del Pollino che si stanno adoperando per cercare di capire se esse sono state provocate da patologie particolari e se esistono possibili rischi sugli altri ungulati che vivono nell’area protetta o eventuali pericoli per l’uomo.
In seguito alla segnalazione degli agenti del corpo Forestale dello Stato Giuseppe Ferrante e Giuseppe La Mattina del comando della Stazione di Orsomarso, che avevano custodito la carcassa del capriolo dal momento del suo ritrovamento, si è recato sul posto il dottor Bruno Romanelli, veterinario consulente dell’Ente Parco nazionale del Pollino, per esaminare direttamente la carcassa di femmina adulta di capriolo rinvenuta sulla riva del fiume Argentino in località Sanginosa e, dopo averne constatato l’avanzato stato di decomposizione, ha prelevato soltanto alcuni campioni di muscolo della coscia che saranno inviati all’Istituto di Zooprofilassi di Cosenza per ulteriori esami; subito dopo ha disposto la distruzione con il fuoco dei resti dello sfortunato ungulato.
Insieme al veterinario del parco sono intervenuti anche Cinzia Farace e Milena Provenzano del gruppo di Ecologia e Conservazione del Capriolo del Parco nazionale del Pollino che attualmente sta seguendo le varie fasi della reintroduzione del cervo sul versante lucano dell’area protetta. Di questo gruppo di esperti, tutti laureati in scienze naturali, che è coordinato da Sandro Lovari dell’Università di Siena, fanno parte anche Antonio Iantorno, Enza Fava e Cosimo Tendi.
Nel breve colloquio che abbiamo avuto Bruno Romanelli ha escluso che ci si possa trovare di fronte a una qualche forma di epidemia che avrebbe colpito la popolazione del capriolo autoctono dei monti di Orsomarso. Anche se i risultati degli esami effettuati non sono ancora del tutto completi, tuttavia il luogo del ritrovamento di entrambi gli ungulati, sulla riva del fiume, e i chiari segni di emorragia interna presenti soprattutto nel primo, farebbero pensare ad una ipotesi di avvelenamento causato dall’ingestione di qualche boccone contenente veleno per topi o per cinghiale.
Comunque il veterinario consulente dell’Ente di gestione dell’area protetta, nell’escludere categoricamente che ci si trovi di fronte a patologie trasmettibili all’uomo, ha anche comunicato che sono state attivate tutte le iniziative per operare i giusti approfondimenti che il caso richiede, a cominciare da una ulteriore intensificazioni dei controlli sul territorio.
(san.pio.gio.)
10/08/2004
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