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Domenica i referendum sulla legge elettorale

Si vota domenica e lunedì. I quesiti riguardano il premio di maggioranza
che andrebbe al partito e non alla coalizione e l'impossibilità della pluricandidatura

ROMA - Oltre 50 milioni di italiani sono di nuovo chiamati alle urne domenica e lunedì. Si vota sui tre quesiti del referendum sulla legge elettorale che venne rinviato l'anno scorso perché coincideva con le elezioni politiche. Dopo lunghe polemiche sull'election-day, il governo ha deciso che la consultazione non poteva svolgersi insieme alle elezioni europee e l'ha rinviata al prossimo fine settimana che, altrimenti, sarebbe stato dedicato solo ai ballottaggi delle amministrative.

Così, gli elettori di 22 province (tra cui Milano e Torino) e di 102 comuni superiori (di cui 16 capoluoghi comprese città come Bologna, Firenze, Bari e Padova) riceveranno quattro schede: le tre del referendum e la quarta per il comune o la provincia. In quattro capoluoghi (Ferrara, Ascoli, Brindisi e Prato) le schede saranno addirittura cinque perché si svolgono ballottaggi per entrambi gli enti.

Tra centrosinistra e centrodestra è battaglia durissima. Di 62 province, il centrosinistra ne aveva 50 e il centrodestra 8 (una era amministrata dalla lega Nord, tre votavano per la prima volta perché di recente costituzione). Dopo il primo turno l'opposizione nazionale ne ha tenute appena 14 mentre i partiti di governo sono saliti a quota 26. Su 30 comuni capoluogo il centrosinistra ne governava 25 e ne ha conservai appena 5. Il centrodestra è già salito da 5 a 9 e punta ad altri ribaltoni.

Le urne saranno aperte domenica dalle 8 alle 22 e lunedì dalle 7 alle 15. Subito si procederà con lo spoglio: prima i referendum, poi i ballottaggi. I referendum saranno validi solo se almeno il 50% più uno degli elettori avrà ritirato la scheda. Non ha importanza, da questo punto di vista, se voteranno bianca o nulla.

I quesiti referendari.
Le schede per il referendum (che, ricordiamo, in Italia è solo abrogativo) sono semplici perché contengono solo due opzioni: "sì" (per l'abrogazione) e "no" (contro). Ma i quesiti, al contrario, risultano lunghissimi, complicatissimi e praticamente illeggibili perché fanno riferimento a diversi articoli di legge (o parti di articoli) da abrogare.

I primi due quesiti mirano in sostanza alla creazione di un sistema bipartitico. Se si raggiungesse il quorum e prevalesse il sì nel primo quesito (scheda viola) verrebbe abolita la possibilità del collegamento tra le liste. Il premio di maggioranza alla Camera andrebbe così non più alla coalizione ma alla lista che ottiene il maggior numero di seggi, che dunque avrebbe da sola la maggioranza per governare. Lo stesso quesito prevede che la soglia di sbarramento al 4% per essere rappresentati in Parlamento. In caso di quorum e di vittoria dei sì nel secondo quesito (scheda beige), anche il Senato il premio di maggioranza viene attribuito alla lista che ottiene più seggi su base nazionale. Per Palazzo Madama la soglia di sbarramento si alza al 8%.

Gli effetti politici di una vittoria dei sì sono evidenti. L'impossibilità di coalizzarsi combinata con il premio di maggioranza al partito più forte e con le nuove soglie significa la fine degli "accordi di programma" tra le diverse forze. L'accentuazione del profilo a vocazione maggioritaria dei singoli partiti. Il taglio netto delle "ali", sulla destra e sulla sinistra. La radicale semplificazione del quadro parlamentare post-elettorale. In sostanza, due o tre partiti al massimo. Adattando questo schema all'attuale quadro politico, Berlusconi potrebbe governare con una sicura maggioranza senza la Lega di Bossi.

Il terzo quesito riguarda le candidature. Oggi è possibile candidarsi in più circoscrizioni, ma se il referendum avesse il quorum e vincessero i sì le "candidature multiple" sarebbero vietate sia alla Camera che al Senato. La fine di questa prassi diminuirebbe il principio di coptazione dei "primi non eletti", vale a dire di coloro che non hanno conquistato abbastanza voti ma entrano in Parlamento in virtù della obbligata rinuncia del pluricandidato al suo seggio. Dal punto di vista politico il sì a questo terzo quesito comporterebbe una minore capacità dei leader locali e nazionali di gestire e influenzare i singoli parlamentari giunti alle Camere attraverso la scelta del candidato "forte" eletto in più circoscrizioni.

 

Fonte: Repubblica.it
18/06/2009
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