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PUNTI DI VISTA: L'insurrezione giunge in Italia

              «Succede che un paese a lungo immobilizzato e anestetizzato da una autorità costituita su pilastri formidabili (media deviate, mafie e altri poteri occulti) si sveglia e trova espressione nelle sue componenti più direttamente oppresse: lavoratori espulsi dalle loro fabbriche, migranti privati dei diritti fondamentali, vittime di un terremoto particolarmente distruttivo sfruttato e ingannato dalle istituzioni che li avrebbero dovuti proteggere e aiutare, Sud avvelenato dai rifiuti tossici seppelliti di nascosto nei suoi terreni, studenti che hanno conosciuto come unico orizzonte fin dall'infanzia un mondo di illusioni e di menzogne che, di fatto, li priva dell'idea stessa di futuro che appartiene loro.
Da qualche tempo, il potere del governo in questo paese si è indebolito. Coloro che in precedenza erano i più silenziosi - e sembravano anche i più rassegnati - organizzano sfilate piene di vita, di immaginazione e d'impazienza, occupando i tetti delle fabbriche, le torri e, in diciotto città, monumenti (con il rispetto da avere nei confronti di Pompei e del Colosseo).
A poco a poco emergeva un'indignazione di massa. La manifestazione del 14 dicembre svoltasi a Roma e in tutte le principali città d'Italia coinvolgeva un grandissimo numero di studenti universitari e di scuole superiori, lavoratori, terremotati dell'Aquila, gli abitanti delle zone napoletane. Per gli studenti, si trattava di affermare ancora una volta quello che rivendicavano con forza da due anni, senza ricevere alcuna risposta dal governo: il loro rifiuto di una riforma che ridurrà ulteriormente i fondi già quasi inesistenti per la ricerca, abolirà il 90% delle sovvenzioni ed eliminerà 35000 posti, riducendo in stato di disoccupazione una infinità di insegnanti e di personale che attende da anni di essere finalmente regolarizzato.
Gli studenti italiani sono condannati in partenza, a dover scegliere tra precarietà e disoccupazione, tra il precarietà e l'emigrazione. Il numero di giovani in cerca di lavoro da mesi o da anni, è impressionante, ancora più alto è il numero di coloro che hanno rinunciato a cercare lavoro. La riforma annunciata è stata sbandierata come lotta contro gli sprechi-Mentre sono stati immessi in ruolo in massa nella scuola pubblica gli insegnanti di religione, una materia facoltativa, e le scuole private sono privilegiate e riccamente finanziate, e lo saranno ancora di più, con il decreto annunciato.

Quello che gli studenti percepiscono è l'intenzione di distruggere l'istruzione pubblica e di trasformare l'università in una istituzione che produca un sistema di sfruttamento e non all'autonomia, non alla formazione di individui e cittadini liberi, capaci di avere un pensiero critico, capaci di pensare.
"Noi non siamo rappresentati", dicono gli studenti, che si sentono abbandonati dalla politica. Niente a che vedere con la lotta armata, con le ideologie degli anni Settanta del secolo scorso. E' chiaro a tutti che questi giovani hanno una profonda cultura democratica, ma credono in una democrazia veramente collettiva e radicale. Non si vedeva nessuno slogan aggressivo nella manifestazione di protesta, nessuna parola d'ordine, ma, fatto inedito, ogni cartello portato da ciascun manifestante, riproducevano le copertine dei libri. Uno accanto all'altro: Nabokov, Petronio, Darwin, Henry Miller, Dostoevskij, e ancora: Merleau-Ponty, Kama Sutra, Odissea ...

Quello stesso giorno, il governo indebolito poneva la questione di fiducia mentre tutta l'opposizione votava una mozione di sfiducia. All'annuncio che, per tre voti - comprati in modo evidente - il che significa che la corruzione è ormai assurta a sistema - la fiducia era passata, la rabbia crebbe e la violenza divenne inevitabile, cosa che invece era profondamente estranea al movimento degli studenti che era collegato ai grandi temi del malessere sociale in modo forte e consapevole.

Ciò che preoccupa adesso, sono le manifestazioni dei prossimi giorni. Perché si teme il ripetersi di Genova, 2001, nella misura in cui il governo sarebbe tentato di sfruttare la giusta rabbia generazionale e collettiva per inventare uno stato di emergenza, invece di stabilire un dialogo con interlocutori, gli osservatori disinteressato lo riconoscono, hanno "qualcosa di nuovo da dire".

Il rifiuto di rispondere è anche una violenza, più violenta e più colpevole dell'indignazione di un intero paese».

Jacqueline Risset, scrittrice e traduttrice

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