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Paesi del Sud fabbriche del silenzio per una ferita sempre aperta e sanguinante

Da Raffaele Papa, del Gruppo Tortora nel cuore, riceviamo e volentieri pubblichiamo il comunicato stampa che riportiamo di seguito integralmente

TORTORA - «I nostri paesi fabbriche del silenzio per una piaga sempre aperta e sanguinante.
Domenica di fine settembre, quasi ora di pranzo, un amico dei miei figli viene a salutarci, va via a cercar lavoro, parte per la Svizzera, non riesce a trattenere le lacrime e la commozione tocca tutti noi.
Ventanni, un diploma, tanta voglia di fare, ma nessun lavoro, non ha voluto "parcheggiarsi" in qualche università. A quell'età si vorrebbe bruciare il mondo ma guardandosi intorno poco resta da infiammare, pare che tutto ormai sia cenere. In estate qualcosa si fa, ma per tutto il resto dell'anno? e le prospettive?

E allora il riferimento a qualche parente già in terra straniera, che ha percorso le stesse tappe. La storia si ripete, ma nel ripetersi peggiora, una volta partivano solo i padri, ora partono anche i figli. Il nostro dramma di sempre che lacera i sentimenti e squarcia l'anima. Il mio pensiero corre immediato all'infanzia, agli abbandoni tristi di mio padre anche lui per la Svizzera, momenti che fermano il tempo e che tracciano un solco nella carne. Storie come tante della nostra terra, del nostro Sud, della nostra Calabria, dei nostri paesi che sempre più diventano fabbriche del silenzio.

Qui da noi l'estate porta con sé ogni clamore, e per chi resta è l'autunno dell'anima. I padri lontano a guadagnarsi il pane, i figli via alla ricerca di fortuna o a bivaccare in cittadelle universitarie, le madri rimangono nell'attesa e nel silenzio. Un silenzio assordante che inibisce. Si, anche il Sud ha le fabbriche, quelle del silenzio; i nostri antenati e noi e tutti sognavamo altro ma solo questo riusciamo a produrre: silenzio, silenzio e ancora silenzio.

Una volta, si udiva il ticchettio del ciabattino, il martello del fabbro che colpiva l'incudine, le voci dei contadini in groppa al proprio asino; la vita era presente perché si sperava in un altro futuro, almeno per i figli. Ma il futuro non l'abbiamo mai visto, solo riedizioni del passato, che ritorna e rimbomba nella nostra mente con una sentenza che sa di antico ma che è sempre attuale: o briganti ... o emigranti...!

Oggi potremmo dire, o viviamo alla giornata o andiamo a costruirci un futuro altrove. Parole, parole, parole, quante parole in convegni, in assemblee regionali e parlamentari sul lavoro che manca, sull'emigrazione, sull'abbandono del sud; quante inutili discussioni e divisioni: ponte si, ponte no; porto si, porto no; alleanze e non alleanze; destra, sinistra, centro; abbiamo davvero perso il senso dell'essenziale o forse addirittura il senno!

Perché nulla di tutto ciò equivale a due occhi gonfi di pianto di un giovane costretto a lasciare la propria terra, i propri affetti, la propria famiglia. E intanto chi dovrebbe consumare le meningi alla ricerca di concrete soluzioni, pensa a rigirasi su una poltrona non sua, ma che vorrebbe mantenere a vita e di questa ne fa unica ragione. Cosa è successo? Cosa succede? E' davvero colpa del destino cinico e baro?
No, non è un destino ineluttabile, è solo ciò che altri hanno voluto per noi ma con il nostro consenso. L'errore di tutti noi è stato aver consegnato in altrui mani la nostra vita, in mani bucate e di più padroni, la cui sedia vale più di ogni lacrima.
Riprendiamoci l'unica vera cosa che ci appartiene, la nostra esistenza e costruiamoci un futuro».

Raffaele Papa - rafstudio@libero.it - Tortora (Cs) Dirigente MpA - Gruppo Tortora nel cuore.

29/09/2009
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