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Il papa di Hitler

Sembra una beffa, invece è vero. Non hanno ancora ricevuto alcuna risposta al loro "Rapporto provvisorio" i sei membri della Commissione mista ebraico-cattolica istituita presso la Santa Sede nel '99 col compito di fare luce sulle responsabilità di Pio XII in relazione al genocidio nazista. Presentato a Roma lo scorso ottobre, il rapporto si limita a formulare una serie di interrogativi relativi alla condotta di Papa Pacelli, evitando programmaticamente qualunque giudizio sul suo operato e sottolineando l'esigenza di approfondire ulteriormente lo studio dei documenti, ben oltre gli undici volumi di "Actes et Documents" già noti, pubblicati tra il 1965 e il 1981 da una commissione di gesuiti. Uno studio che non può più essere rimandato. E' deluso e incredulo il professor Robert Wistrich, membro della Commissione e docente di storia ebraica ed europea moderna presso l'università ebraica di Gerusalemme, mentre denuncia il silenzio con cui la Segreteria di Stato ha accolto la richiesta, formulata dalla Commissione, di poter accedere ai documenti d'archivio custoditi in Vaticano. La risposta, attesa per gennaio, non è mai arrivata.

Professor Wistrich, la Commissione di cui lei fa parte ha presentato il suo "Rapporto provvisorio" nell'ottobre 2000. In quell'occasione vi fu promessa una risposta in merito alla vostra richiesta di accedere ai materiali d'archivio vaticani. Cosa è accaduto da ottobre ad oggi?

La Segreteria di Stato, che è l'organismo incaricato di recepire il nostro Rapporto e decidere i passaggi successivi, non ci ha fatto avere alcuna risposta ufficiale. Abbiamo ricevuto solo una risposta informale dal cardinale Edward Cassidy, che ci ringrazia per il lavoro svolto. Ma, pur avendo istituito la Commissione, Cassidy non ha potere decisionale per quanto riguarda l'apertura degli archivi. Inoltre, sta per andare in pensione. Recentemente l'ho visto in Israele e mi ha detto che le cose a Roma si muovono molto lentamente. Da parte della Segreteria di Stato invece c'è stato il silenzio più assoluto. Io sono esterrefatto. Questo silenzio sembra quasi l'eco di un altro silenzio, quello di Pio XII. Naturalmente non voglio fare confronti, denuncio solo il disagio che provo nel trovarmi di fronte a un silenzio così "assordante".

In un'intervista che ha rilasciato recentemente a "Der Spiegel", lei ha fatto riferimento a un incontro con padre Peter Gumpel. Com'è andata?

Padre Gumpel è il curatore del processo di beatificazione di Pio XII, ed è stato subito piuttosto evidente, per noi della Commissione, che i suoi interessi erano diametralmente opposti ai nostri. Egli pensa - questa, almeno, è l'impressione - che non dovrebbe esserci consentito visionare alcun materiale d'archivio. E lo ha detto anche in modo molto diretto affermando, peraltro, di non aver avuto lui stesso la possibilità di consultare quell'archivio. Ci ha anche consigliato di visionare i materiali di altri archivi sparsi nel mondo: evidentemente è favorevole all'apertura di tutti gli archivi, tranne quelli vaticani. Gli abbiamo chiesto perché fosse così contrario al principio del "libero accesso", visto che la ricerca storica si basa proprio su questo. Come si può cercare la verità, come si può elaborare un giudizio equilibrato e maturo su un qualunque evento storico, senza analizzare tutti i documenti esistenti? Naturalmente, in linea di principio, si è detto d'accordo con noi, ma poi ha aggiunto che il momento non è opportuno e si è lanciato in una specie di teoria cospirativa su come, in tutto il mondo, ci sia qualcuno che vuole distruggere la Chiesa: se tale accesso fosse consentito, ha concluso, esso verrebbe usato contro la Chiesa stessa. Ma noi siamo studiosi, non nemici della Chiesa. E' stata una conversazione molto strana e controproducente, durante la quale avevo la sensazione di parlare con un prelato dell'epoca precedente il Concilio Vaticano II. Forse non era questa la sua intenzione ma ho trovato offensive anche alcune sue osservazioni sugli ebrei che sembrava includere tra i nemici della Chiesa. Padre Gumpel ha detto chiaramente che avrebbe scritto un rapporto negativo sulla nostra Commissione e l'avrebbe mandato al Segretario di Stato. E sono sicuro che ha mantenuto la sua promessa.

Lei crede davvero che ci siano difficoltà tecniche che impediscono l'apertura degli archivi vaticani?

Naturalmente le motivazioni tecniche ci sono state fornite ma, come è ovvio, si tratta essenzialmente di una decisione politica, di scelte, di volontà. A volte mi sembra di essere in balìa di correnti politiche interne al Vaticano, che lo influenzano esattamente come avviene in qualunque altra istituzione. Quando penso a tutto ciò che è successo nel corso di quest'anno, mi rendo conto che Roma non ci ha dato assolutamente niente: non ci ha fornito i documenti, né ci ha promesso di poterli visionare, né ha risposto ai 47 interrogativi contenuti nel nostro Rapporto. E si tratta solo della punta dell'iceberg. Comincio a pensare che si sia trattato di una manovra realizzata con lo scopo - o la speranza - di farci giudicare sufficienti i documenti già pubblicati così da poter esprimere un giudizio positivo sul comportamento tenuto da Pio XII durante l'Olocausto.

Cosa succede nella Commissione? Ha avuto contatti con gli altri membri?

No, non recentemente. Mi è stata inviata una copia della lettera di risposta del cardinale Cassidy, ma non penso che sia successo qualcosa. Sono tutti in attesa, per così dire. Aspettare non ha molto senso.

Come risponde al silenzio della Segreteria di Stato?

Dico che la questione dell'Olocausto deve essere affrontata dalla Chiesa. Giovanni XXIII lo ha fatto con il Concilio Vaticano II e anche Giovanni Paolo II l'ha affrontata in molte occasioni. Ma che senso hanno tutte le richieste di perdono - i mai più - se poi non si permette il libero esame di tutta la documentazione? Vede, accettare di studiare i documenti era un progetto piuttosto strano a cui aderire, e io avevo molti dubbi a riguardo. E tuttavia ho accettato nella speranza che sollevare i nostri interrogativi, e accrescere la consapevolezza sull'importanza di questo materiale d'archivio, avrebbe portato il Vaticano stesso ad assumersi le sue responsabilità. A mio parere il papa ha fatto uno splendido lavoro in questo senso, cercando di rendere in particolare i cattolici consapevoli della loro responsabilità nel modo in cui hanno reagito all'Olocausto. Ma qui assistiamo a qualcosa di diverso, a quello che sembra essere un rifiuto di affrontare veramente la questione, di aprire il vaso di Pandora. E più a lungo si cerca di tenerlo chiuso, più la situazione peggiora. In gioco non ci sono solo i rapporti tra cattolici ed ebrei. Il mondo intero ha diritto di sapere. Ci sono molte vittime, molti che hanno il diritto di sapere ciò che è veramente successo durante la II guerra mondiale. E giocare a questo metodo "selettivo" di accesso ai documenti è una negazione della storia.

Che cosa si aspetta per il futuro?

Penso che ormai sia venuto il momento per il Vaticano di dimostrare la sua serietà. Non possono girare le spalle alla Commissione dopo averla istituita. Nessun cattolico capirebbe un simile comportamento, per non parlare degli altri. Ed ecco perché, nell'intervista a Der Spiegel, mi sono rivolto direttamente al papa perché intervenga personalmente. Penso che sia l'unico modo per uscire da questa situazione di stallo. Spero che, in qualche modo, il mio appello al Santo Padre trovi udienza, perché nutro un grande rispetto nei suoi confronti. I miei genitori erano originari di Cracovia e io parlo il polacco... sono certo che, se ci incontrassimo, ci capiremmo benissimo.

a cura di S. Sangiovanni
29/01/2005
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