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Recensioni. Il brigante onesto di Paolo Sergio Marra. Epopea fra romanzo e teatro

Già il titolo, "Il brigante onesto. Storia di miseria, amore e sangue", romanzo di Paolo Sergio Marra con adattamento teatrale nel seducente vernacolo delle Serre ionico-reggine, stampato a Serra San Bruno nell'aprile 2011, riassume in modo efficace il suo contenuto. Una storia ed una trama avvincente, densa di pathos, di slanci ideali segnati da momenti di altissima liricità, puntualmente spenti dall'amara constatazione che i sogni restano tali e, pur nella loro coinvolgente intensità, durano poco lasciando sul campo vittime tragiche che per un breve tratto hanno però sconvolto equilibri secolari ed atavici, veri e propri attimi di eternità. Un misto fra le grandi problematiche che investirono i paesi della Calabria post-unitaria e il mito senza tempo del "bandito buono", il Robin Hood che ruba ai ricchi e ridistribuisce ai poveri, beni alimentari per loro quasi completamente preclusi (la carne), ma che sono il frutto del loro lavoro al servizio di ricchi, prepotenti e spilorci proprietari di terreni, mandrie di bestiame e palazzi, ma incapaci di concepire un diverso modo di relazionarsi con i loro subalterni se non guardandoli dall'alto verso il basso, con disprezzo e invidiosi anche della vita di dignitosa miseria che riescono a condurre.

Questo è, in sostanza, il lavoro di Paolo Sergio Marra, musicista, compositore di talento e personalità poliedrica che ha avuto la capacità di rivisitare con acume e in profondità, senza scadere in vecchi cliché e stereotipi di cattivo gusto, la grande stagione verista del secondo Ottocento, da "Cavalleria Rusticana" al "Trovatore" di Verdi, spalmata con delicatezza ed equilibrio nel mondo agro-silvo-pastorale della remota provincia delle serre aspromontane, facendosi guidare da "Gente in Aspromonte" di Corrado Alvaro. "Lo scenario della storia - scrive Domenico Mammone nella presentazione - è l'altopiano della ‘Lacinia' che sovrasta il piccolo borgo di Cardinale, teatro durante tutto l'Ottocento, di efferati avvenimenti di brigantaggio". Ed è all'interno di questa cornice che si inserisce la storia di Zampanò, una sorta di garzone che vive con la sua famiglia, la moglie Marasanta e i figli Nuccio (il più giovane e futuro "brigante onesto") e Anastasio, seminarista che studia per diventare prete e sul quale il padre affida vanamente tutte le sue speranze di riscatto sociale e di rivalsa, rispetto alle inenarrabili angherie e discriminazioni subite. L'evento scatenante è la "disgrazia" che colpisce il povero pastore con la perdita dei buoi del padrone, "Don Pippo Laforca", precipitati fortuitamente in un burrone, seguito di lì a poco dal gesto di violenza vile e gratuita, dei figli del signorotto, di incendiare la stalla con la preziosa mula di Zampanò, il quale viene colto da malore e passerà il resto dei suoi giorni a letto, ridotto in uno stato di totale paralisi e di incoscienza.

Qui inizia la seconda vita di Nuccio che, tornato in paese, di fronte alla tragedia che aveva investito suo padre e la sua famiglia, decide di diventare brigante, ma con una missione del tutto personale e votata a vendicare i torti subiti dai poveri del suo paese per mano dei "padroni". Una storia i cui personaggi sono "animati da forti passioni", è scritto molto opportunamente nella presentazione del libro, nella quale trova posto anche il tenero e genuino amore fra il "brigante onesto" e Filomena, niente poco di meno che la figlia di Don Pippo Laforca; ragazza onesta e buona anche lei, animata da valori e principi morali che la fanno considerare insana di mente dai suoi familiari. La conclusione è carica di drammatica teatralità, con la morte dei due amanti nella corale partecipazione di tutta la gente del paese, che sopraggiunge al seguito della processione del Corpus Domini. I corpi del brigante onesto e della sua amata vengono benedetti dai sacerdoti e ricoperti di fiori di ginestre.

L'altro aspetto sicuramente innovativo e originale del libro di Marra è rappresentato dall'adattamento teatrale che lo stesso autore ne ha fatto, a conferma della sua vocazione che gli deriva dal suo essere musicista compositore. Un esperimento perfettamente riuscito e di grande interesse, sia per la sua trasfigurazione nel linguaggio teatrale (la cui pièce è stata rappresentata durante l'edizione 2010 di Armonied'artefestival ed è documentata da una serie di fotogrammi posti all'interno del volume) che consente di operare gli opportuni confronti, ma soprattutto per la scelta dell'autore di riscrivere il testo completamente in dialetto.

Un lavoro sicuramente impegnativo anche dal punto di vista linguistico, la cui revisione ed apparato di note esplicative sono stati curati da Francesco Nicola Nisticò, instancabile ed appassionato studioso del dialetto della sua terra, che ha messo a disposizione di questo progetto le sue competenze scientifiche, che lo hanno già portato a raccogliere migliaia di termini che spaziano da quelli più comuni e generali, al linguaggio tecnico e specifico dell'agricoltura, pastorizia, fitonimia, zoonimia, onomastica, toponomastica e molto altro ancora.

Pio G. Sangiovanni
30/01/2015
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La copertina del libro
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Paolo Sergio Marra
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