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Il caos delle liste e la forma della democrazia

OPINIONI - Il voto per le elezioni regionali è alle porte ma è rebus nella ammissione delle candidature in due regioni, Lazio e Lombardia, nelle quali alcune liste e listini (si chiamano così quelle capeggiate dal candidato presidente alla regione) non sarebbero state presentate in modo corretto e quindi non ammesse alla competizione elettorale. Nella fattispecie si tratta della lista PDL nella provincia di Roma, del listino di Renata Polverini nel Lazio e di Roberto Formigoni nella Lombardia. Le liste mancherebbero del numero necessario di firme autenticate, nel caso di Polverini e Formigoni e della tempestiva consegna entro i limiti prescritti dalla legge, scaduti sabato scorso alle ore 12, per quanto riguarda la lista PDL nella capitale. Si assiste adesso a un estenuante e nevrotico via vai di ricorsi e controricorsi nelle sedi giurisdizionali che hanno il compito di vagliare la regolarità delle consegne e quindi dell'ammissibilità. I giudici competenti decideranno.

Ma non è tutto. Il presidente del Senato, Renato Schifani, seconda carica dello Stato, riferendosi alla questione ha statuito che "la sostanza debba prevalere sulla forma, quando la forma non e' essenziale, garantendo il diritto sacrosanto di voto a tutti i cittadini". E su questa idea il coro pretenzioso dei dirigenti del Popolo della libertà che, non avendo troppi alibi e trovando questa volta anch'essi grottesco sollevare accuse di complotto contro la sinistra e contro le Corti d'appello, a danno compiuto vorrebbero scavalcare il problema attraverso una leggina ad-hoc (o più schiettamente ad-partitem), fatta per decreto, che "sani" ogni irregolarità e consenta così al partito di maggioranza relativa di partecipare alla competizione elettorale e, in fondo, permettere a milioni di cittadini di esprimere la loro preferenza.

Due considerazioni è d'obbligo fare. La prima: come fa un partito così grande, in termini elettorali, a manifestare una disorganizzazione e una sciatteria tale da commettere errori imperdonabili nella formalità più basilare dell'esercizio politico, la presentazione delle liste? Pensare che sia tutto dovuto a un peccato di gola e allo spuntino in orario proibito di chi era incaricato a consegnare i faldoni delle firme è assurdo. Un filmato raccolto da Sky mostra l'esponente del PDL incaricato della consegna dei documenti, quando già nel tribunale mettere mano ai fogli contenenti liste e firme, e di lì il ritardo nella consegna. Una disorganizzazione imbarazzante, ma anche la tracotanza irridente di chi pensa che le procedure siano solo un impiccio, irrilevante e ampiamente superabile. Un fatto che avrebbe dovuto spingere da subito il partito che per propria incapacità si è trovato impelagato in una tale situazione a chiedere scusa ai suoi elettori in particolare, ma in realtà a tutti gli elettori ai quali viene ora presentata una campagna elettorale, già sprezzantemente silenziata, in cui il fatto di discussione è una non-notizia, un problema interno ai partiti ignobilmente schiacciati dalle regole e dal peso della democrazia.

La seconda considerazione riguarda il senso stesso della democrazia. Sarebbe interessante sapere cosa ne penserebbe Schifani se gli chiedessimo conto dei processi di Berlusconi, se è innocente o colpevole delle accuse che gli sono state mosse, aggiungendo però che non ce ne importa nulla delle regole processuali, delle prescrizioni e dei legittimi impedimenti, che ci importa solo ed esclusivamente di quello che lui ha chiamato "sostanza". Probabilmente ne sarebbe irritato. Allora bisognerebbe ricordare, a lui e agli altri, cos'è la democrazia. E senza scomodare troppo l'ombra nobile di Norberto Bobbio, che ha passato la vita, insieme ad altri naturalmente, a spiegare che la democrazia è innanzitutto procedura. Sono le procedure che fissano le libertà entro il rispetto delle regole e che costituiscono la garanzia che non ci siano prevaricazioni e colpi di mano da parte di nessuno. Di fronte alle leggi uguali per tutti si concretizza la democrazia, perché tutti possano guardarsi l'un l'altro reciprocamente nella certezza di essere alla pari, cittadini dello Stato di diritto. La democrazia non può fare valutazioni di merito nell'esplicazione dei diritti dei cittadini: può, è deve, solo chiedere il rispetto delle regole che si è data.

La lista Radicali non è presente in alcune regioni perché non è riuscita a raccogliere le firme, così come in Calabria, per la stessa ragione, non è stata ammessa la lista del Partito comunista dei lavoratori. In ogni tornata elettorale ci sono centinaia di casi come questi. Una democrazia non si chiederà quanti voti prenderebbero queste liste se venissero ammesse; la loro legittimazione a competere nella sfida elettorale sta tutta nel rispetto delle procedure con le quali la candidatura è stata presentata. La democrazia ha nelle procedure, cioè nelle forme, ed esclusivamente in esse, tutta la sua sostanza.
Così un cittadino che non rispetti perfettamente l'iter burocratico di un concorso pubblico ne sarà escluso e se pagherà un tributo con un solo giorno di ritardo dopo la scadenza sarà gravato di una sovrattassa.

Ma se questo vale per i cittadini perché non deve valere anche per la casta dei partiti maggiori? E' mai possibile che a fronte dei loro errori e della loro incuria si debba ricorrere a decreti leggi sanatori fatti da essi e per sé stessi? E' un atteggiamento antidemocratico.

Stefano Sangiovanni
05/03/2010
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