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Un'esperienza di ricerca dialettale nel villaggio della memoria vivente

ORSOMARSO - Quando ho iniziato a scrivere la prima parola in dialetto orsomasese non immaginavo di potermi appassionare e divertirmi così tanto come poi è successo.
La prima parola che ho scritto e che ha tirato tutte le altre come le ciliegie è stata "scafazzari". Mia figlia è stata la mia prima fan e proprio con la parola scafazzari mi faceva notare come descriveva bene il significato, schiacciare non era così bello come scafazzari. Quindi ho iniziato con una parola e poi man mano la passione, la voglia e la curiosità di cercare e scavare nella memoria tutto ciò che mi veniva in mente del mio sapere in dialetto.
La mia ricerca è andata avanti e dalle parole sono passata ai detti, alle cosi cuseddi, alle ninna nanna, alle imprecazioni, parolacce.
Non sono un'esperta letterata ma semplicemente una persona curiosa e che si è voluta divertire e ... ho iniziato così, un po' per gioco, un po' per curiosità ad andare a ripercorrere la mia storia. Sono convinta che andare alla ricerca delle origini (o delle radici, come ricorda Ernesto de Martino), e quindi delle parole che hanno colorato la mia infanzia, abbia fatto prima di tutto bene a me. Poi anche alle persone che ho coinvolto. A partire dalla mia famiglia e poi tutte le altre, a Raffaele Caminiti che mi ha aiutato per tutti i nomi degli alberi e degli animali. Sono stati tutti molto disponibili e curiosi a loro volta. Durante i mesi estivi che trascorrevo qui ad Orsomarso la mia attenzione e il mio orecchio era sempre teso a captare le parole, ero sempre munita di notes e matita per appuntare immediatamente ciò che sentivo, a volte mi sono fidata della memoria ma, ahimé, non sempre mi ha aiutata.
Le persone a me vicino soprattutto mia suocera (fonte importante) ogni volta che mi vedeva scrivere si preoccupava. I miei genitori anche loro sono stati molto importanti e sorridevano e se mi trovavo a casa loro subito mi prendevano il foglietto per scrivere. Io ho solo preso nota, i veri protagonisti sono state le persone di Orsomarso. Anche le mie amiche, vi sembrerà incredibile ma a volte mi telefonavano a Milano per dirmi "Lu controlla se hai questa parola". Insomma, un grande coinvolgimento di tutti e anche tanto divertimento.
Mi sono divertita a ricordare il rito del Pane, del Matrimonio, delle Nascite e della Morte. Ricordo il fascino che subivo da piccola quando le nostre mamme e nonne preparavano il pane. Anche qui ho chiesto a tante persone, soprattutto quelle anziane, loro sono davvero la nostra memoria!
RITO DEL PANE
Il lievito si doveva "crescere" (preparare) la sera prima, ognuno aveva il lievito madre a disposizione. Se per caso non lo si possedeva e poteva succedere allora si chiedeva in prestito alla propria vicina ma prima che suonasse il Vespro, altrimenti insieme al lievito avvolto in un tovagliolo si metteva anche un coltello.
Dopo aver cresciuto il lievito si setacciava la farina nella madia, si copriva il tutto e alla mattina molto presto si impastava con acqua sale. Dopo averlo impastato si passava a skanari si facevano delle grosse pagnotte e prima di disporle a lievitare sul letto si faceva il segno di croce sopra, dopo le pagnotte si facevano i pitti che di solito erano tre (una per la padrona di casa e una per ognuna delle suocere). Non potevano mancare i pijatuli e se c'erano nella famiglia bambini piccoli i pijatuliddi. In estate anche a pitta ca pummarora.
Per far lievitare il pane lo si adagiava sul letto, dopo averlo avvolto nelle tovaglie apposta usate solo per il pane, se faceva molto freddo veniva riparato con le coperte di lana.
E come una creatura ogni tanto si controllava con il dito facendo una lieve pressione sulla pasta per vedere se era lievitato si "iera chiumputu".
Nel frattempo si accendeva il forno e quando era quasi pronto si passava alla pulitura prima con un rastrello di legno "u strazza furnu e poi cu u scupulu". Quando il pane era lievitato e il forno era a temperatura giusta si infornavano prima i pitti e i pijatuli, sfornati questi si infornava il pane.
A chiurerna era la porta per chiudere il forno.
Fino a che non era scesa la rosa (il pane non aveva preso il colore rosa) la padrona di casa non poteva uscire.
Se qualche persona entrava in casa prima di varcare la soglia doveva dire: "SANDU MARTINU" e alla risposta "BONA VINUTA", entrava. Ho chiesto a molte persone e anche a Don Mario il significato ma nessuno ha saputo rispondermi. C'è qualcuno fra i presenti che sa cosa vuol dire?
L'altra esperienza interessante che ho fatto è stato per caso (come per molte altre cose che ho scoperto) quando una mattina tornavo a casa dalla mia solita passeggiata nella valle e avevo in mano dei fiori con del capel venere. E una signora mi ha detto: "Ma lo sai che una volta quest'erba si usava per fermare la gravidanza?
Ancora una volta è scattata in me la curiosità rispetto alle erbe utilizzare per curare. E sempre mia figlia per non farmi stare in ozio mi ha suggerito: "Perché mamma non fai una ricerca sui rimedi di una volta"?
Detto fatto. Mi sono preparata le domande e ho iniziato a intervistare ovviamente prima mia mamma e mia suocera e poi le altre. Tanto per citarne alcune Lucrezia, Zia Alivezija, Malijuccia,la mamma di Angela Rosa fino ad arrivare alla mamma di Pina la parrucchiera. Quest'ultima per aver un confronto sugli usi di Verbicaro.
Solo le donne perché non ho trovato questa disponibilità tra gli uomini....Un po' mi spiace perchè avrei voluto sentire anche i loro racconti, d'altro canto ho potuto così raccogliere confidenze e storie al femminile. Ne viene fuori uno scenario estremamente interessante: non solo di cultura contadina, ma di cultura femminile orsomarsese, tramandata di madre in figlia. Insomma ho raccolto tanto di quel materiale interessantissimo.
È venuto fuori un quadro sulla condizione femminile che andrebbe approfondito. Mi sono resa conto di quanta sofferenza fisica hanno dovuto affrontare le nostre nonne fino alle nostre mamme. Per fortuna poi ci è venuto in aiuto la ricerca scientifica con le medicine. Ma fino a quel momento gran potere era stato dato ai rimedi e alle erbe.
Facendo queste interviste mi sono accorta che alcuni di questi rimedi li avevo trovati scritti leggendo il libro Sud e Magia di Ernesto De Martino. Vi lascio immaginare la mia sorpresa quando al gruppo di persone del mio vicinato chi frischijava, gli ho detto che le cose che loro mi dicevano erano scritte in un libro scritto da un famosissimo etnologo che si era interessato alla cultura meridionale (facendola anche riscoprire a chi nel Sud ci abitava...).
Ho iniziato così tutti i pomeriggi di quell'estate a leggere questo libro alle donne del mio vicinato. Ovviamente solo le parti riguardanti gli argomenti di superstizione e fascinazione. Era bellissimo sentire queste persone che mi aspettavano e sentire i commenti di riconoscenza.
Anche questo è stato uno strumento della memoria. A partire dal libro per poi ricordare fatti, persone, storie, insomma un'ulteriore occasione per raccontare e raccontarsi Erano molto attente e prima di salutarmi mi chiedevano sempre: "Ma domani vieni ancora?"
Alla fine delle vacanze mi hanno anche detto: "L'anno prossimo portaci ancora un altro libro da leggere".
E' stato incredibile e io ho pensato davvero a quanto possiamo fare per i nostri anziani, per farli sentire vivi, tra l'altro, in questo caso, leggendo un libro non facile, eppure ci siamo riuscite insieme. Questo ci dovrebbe far pensare, a quante cose potremmo fare solo ripercorrendo la nostra storia...
Tutto il materiale da me raccolto è a disposizione dell'Associazione Abystron di cui io faccio parte. Insieme con Pio abbiamo dei progetti per lasciare una traccia della memoria.
E' chiaro che tutto questo non si potrebbe fare senza il contributo di tutti. Perché tutto questo parla della nostra storia orsomarsese. Io sento l'esigenza di lasciare ai più giovani questa storia che rischia di andare perduta. E vorrei fare tutto quello che mi è possibile affinché questo non accada. Affidando poi la parte più scientifica a chi se ne intende, come Pio per esempio. Concludo dicendo che per me è stata una delle cose più belle che mi potesse capitare. Quando mi sono buttata in questa avventura, non c'è stato momento in cui non mi sono divertita. Tutto questo è iniziato per caso e a causa della mia malattia. Per riempire i vuoti e gli ozi a cui ero obbligata... per tenere la mente impegnata su qualcosa di buono e generativo. Il pensiero di scavare nella memoria mi faceva alzare e andare alla scrivania per scrivere e scrivere quasi da diventare un'ossessione... scherzo!! (non proprio, a detta dei miei cari!!)
Mio marito ha avuto veramente una grande pazienza per supportarmi e sopportarmi e per questo lo ringrazio.

Concludo con una frase di De Martino:

"Coloro che non hanno radici, che sono cosmopoliti,
si avviano alla morte della passione e dell'umano: per non essere
provinciali occorre possedere un villaggio vivente nella memoria,
a cui l'immagine e il cuore tornano sempre di nuovo (...)".
(E. De Martino, da: Il mio villaggio, di Albino Pierro, 1959)

Intervento nella Serata dedicata al dialetto Orsomarsese  - Orsomarso, 16 agosto '09

Lucia Santelli
21/08/2009
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