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C'era una volta il maestro. La scomparsa dei maestri, un male per la scuola

ITALIA SCUOLA - Leggo su "ItaliaOggi" del 31 agosto (pag. 31) che il trend di femminilizzazione del nostro corpo docente è ormai irreversibile: il 100% nella scuola per l'infanzia; il 96% nella primaria, il 78% nella media, il 64% nel secondo ciclo; e tende ad aumentare.
Il maestro elementare di un tempo è ormai definitivamente scomparso, forse anche perché i maschi non hanno mai avuto un debole per l'insegnamento. Fin dalla nascita della nostra scuola - siamo nel 1861 - i maestri patentati dal Comune erano pochi in quanto lo stipendio era basso e le classi elementari, soprattutto le prime due obbligatorie, assai numerose, anche oltre i 40 alunni; la preparazione di maestri, e delle maestre, era improvvisata e le punizioni corporali erano all'ordine del giorno.

 Non va comunque dimenticato che proprio dopo l'Unità del Paese la ricerca pedagogica e la pratica didattica ebbero il loro abbrivio e che abbiamo avuto maestri e ministri anche attenti a quella che possiamo chiamare la "questione educativa". Insomma la nostra ricerca educativa, dopo avere ampiamente attinto da quella d'oltralpe, già da tempo attiva e consolidata, cominciò allora a "farsi le ossa"! La scuola, comunque, costituiva una cosa nuova, a cui dedicare la dovuta attenzione, e l'insegnante, maschio o femmina che fosse, attendeva al proprio lavoro con responsabilità, anche perché tutti avvertivano l'importanza sociale, prima che culturale forse, dell'istruzione, e soprattutto della scuola elementare. E non fu un caso che militanti cattolici e socialisti, maschi soprattutto questi ultimi, videro nella nostra scuola elementare del secondo Ottocento un luogo dove promuovere anche il riscatto sociale e non solo quello educativo in senso stretto. Insomma, nonostante i bassi stipendi e lo scarso riconoscimento sociale, la professione insegnante aveva una sua ragion d'essere, per non dire poi che i professori di liceo, pochi ma buoni, erano anche un referente importante sotto il profilo culturale. Ed il Paese intero guardava al sistema di istruzione come ad una primaria occasione di crescita culturale collettiva dopo secoli di ignoranza e di analfabetismo pressoché totale.

Oggi le cose sono ben diverse! La nostra stessa storia viene messa in discussione, la stessa coesione nazionale, perfino la stessa lingua! E' la cultura stessa che non fa moneta, e così la scuola! E' una fenomenologia complessa che sta comportando anche una caduta quasi a picco della professione docente in quanto a riconoscimento sociale. Ed è un contesto in cui la scomparsa dei maestri maschi non fa notizia, ma, a mio vedere, assume un rilievo tutto particolare. In effetti, il ruolo educativo del maschio nella nostra tradizione è sempre stato carente: la femmina sta a casa ad educare - si fa per dire - i numerosi figli, il maschio fuori casa a procacciare soldi! Oggi non è più così, o meglio sappiamo che non dovrebbe essere più così! Il mondo del lavoro è aperto egualmente a maschi e femmine. Anche per legge i genitori hanno pari responsabilità educativa verso la prole. E non sono pochi i maschi, soprattutto mariti separati, che attendono - non è certo con quanto piacere e/o responsabilità - all'educazione dei figli! L'emancipazione femminile ha fatto la sua parte e ruoli cosiddetti casalinghi sono in larga misura condivisi tra mogli e mariti. Si tratta di ruoli che i maschi non accettano sempre di buon grado. L'emancipazione della donna è vista da molti maschi come un'invasione di campo e non è un caso che un fenomeno come lo stalking, in crescita ormai anno dopo anno, sia finalmente perseguito per legge.

Il maschio, quindi, fa fatica a sentirsi investito da compiti da cui per secoli si è autoescluso, e con difficoltà accetta il ruolo di padre come educatore con gli stessi titoli, doveri e competenze della madre. La madre - in tutta la tradizione, anche quella cattolica - è pur sempre la mediatrice tra l'autorità del Padre e la strada che il figlio, soprattutto quello maschio, deve percorrere per farla anche sua. E il maschio resta a guardare. Ma il maschio - ed è qui il clou della mia riflessione - non sa quello che ha perso nei secoli né quello che perde oggi. Non solo in quanto padre a tutto tondo, ma anche in quanto docente, soprattutto nella scuola primaria e, mirabili dictu, nella stessa scuola dell'infanzia.

Purtroppo c'è una tradizione che ha definito e cristallizzato certi ruoli, anche sotto il profilo della ricompensa: la maestra della scuola materna "deve" essere meno preparata della maestra elementare, quindi anche meno riconosciuta come ruolo sociale e come compenso; e così via fino al professore universitario. Quando, invece, sappiamo quanta preparazione occorre per educare un bambino dai tre ai cinque anni, se non ancora più piccolo. Comunque, la giustificazione di questa circostanza ci è sempre stata: la scuola per l'infanzia non era altro che un asilo, tutt'al più una scuola materna, in cui la vigilatrice si limitava a vigilare, appunto, in sostituzione della madre assente. Anche perché si era sempre pensato che un bambino comincia a imparare quando comincia ad andare a scuola: a sei anni, e in quasi tutti i Paesi europei. E prima dei sei anni, il vuoto! Ciò che accade, accade! Essere bambini era una sorta di non stato! Quando, invece, oggi sappiamo quanto siano non solo importanti, ma determinanti, i primi anni di vita ai fini dello sviluppo/crescita nonché, se si vuole, lo stesso periodo della gestazione.

Lo spessore culturale di una maestra di scuola materna, o di asilo, non è e non può essere né minore né meno importante di quello di un docente universitario. Le materie di studio sono diverse, ma altrettanto importanti. Le strategie da adottare quando "si gioca" - cioè si crede di giocare - con uno o più bambini di tre anni hanno la stessa importanza dei contenuti che un disciplinarista universitario utilizza per sostenere i suoi studenti ad acquisire date competenze. Sono i ruoli sociali da sempre consolidati e mai messi in discussione, se non occasionalmente, che pesano fortemente ancora oggi sui concreti ruoli professionali.

Se queste considerazioni sono vere, perché un maschio non dovrebbe avvertire l'insegnamento in una scuola per l'infanzia con lo stesso atteggiamento che in genere ha verso altri ruoli considerati a torto maschili, quali quello dell'architetto o dell'avvocato? Sono molte le donne che ormai si danno a professioni una volta pressoché maschili, dall'imprenditore al notaio, dall'ingegnere al chirurgo. Insomma, negli ultimi decenni molta strada si è fatta da parte delle donne per la loro emancipazione, ma nessun serio percorso è stato a tutt'oggi avviato da parte dei maschi. Ciò che osta fortemente oggi è lo scarsissimo appeal che la scuola in tutti suoi settori esercita: stipendi di fame, precariato, nessuna carriera, nessun riconoscimento sociale, alunni e genitori sempre più indifferenti ed aggressivi.

Se il contesto e lo scenario che si prevede non sono dei più confortanti, resta pur sempre il fatto che i maschi non sanno quello che perdono! Quanto, cioè, sia interessante e gratificante "lavorare" con i bambini. E forse non lo sapranno mai, finché il nostro sistema educativo di istruzione e formazione sarà percepito come una spesa e non come un investimento, come una cosa per femmine e non per i maschi. I bambini continueranno a soffrire, privi di una figura educativa importante, e i maschi a non capire nulla della ricchezza del mondo infantile!
Comunque, avanti... verso una scuola unisex!

 

Maurizio Tiriticco
05/09/2010
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