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Il volto globale della violenza sulle donne

8 MARZO - Il volto globale della violenza sulle donne. 8 marzo. La festa della donna è un fenomeno mondiale celebrato anche in America latina. Ma nel mondo la violenza di genere rimane ancora una piaga aperta
In questo giorno dedicato alla celebrazione della donna e in un’epoca sempre più chiaramente globalizzata sarebbe giusto ricordare la trasversalità e l'universalità della mobilitazione a sostegno delle donne, che viene ormai portata avanti in tutto il mondo anche in occasioni diverse da quella dell’8 marzo. In modo particolare un esempio di questo impegno femminile internazionale giunge proprio dal continente latino-americano, dove la battaglia rosa viene celebrata nel periodo autunnale in occasione di una ricorrenza molto particolare: l’anniversario dell’uccisione delle sorelle Mirabal.
Maria Teresa, Minerva e Patria Mirabal non avevano certo la speranza di diventare un simbolo della lotta femminile mondiale quando nel 1960 decisero di sfidare il governo dittatoriale di Truijillo, tentando di visitare i prigionieri politici che questo deteneva nelle proprie carceri. La loro vicenda, snodatasi attraverso l’esperienza della deportazione, dello stupro e infine della morte, inflitta punitivamente dal satrapo di Santo Domingo, è stata infatti ereditata dalla coscienza del movimento femminile internazionale. Già dal 1981 le donne del continente latino-americano e caraibico ricordavano ogni 25 novembre, data della morte delle sorelle Mirabal, il loro sacrificio e rilanciavano il tema della condizione femminile nel mondo.
Nel 1999 anche l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha finalmente deciso di riconoscere il 25 novembre come data ufficiale, facendone il riferimento simbolico della lotta contro la violenza subita dalle donne. Così anche nel novembre scorso, ancora una volta, si è celebrata la ricorrenza e si è proposta la necessità di una politica internazionale di tutela della donna, che a tutt’oggi rimane, insieme alla realtà dell’infanzia, la vittima principale del maltrattamento e dell’abuso.
In proposito, vera novità del fenomeno della violenza sulle donne, che andrebbe ricordata anche in questa giornata di festa, è sicuramente il carattere di democratizzazione e globalizzazione che questo ha assunto negli ultimi anni. Se per decenni infatti l’occidente ha sempre circoscritto la vessazione femminile nei confini geografici e sociali dei paesi in via di sviluppo e della povertà, ora deve fare i conti con una nuova verità storica, che lo vede comparire sul banco degli imputati con l’accusa di non esserne esente. Anche nell’altra faccia del mondo, fatta di ricchezza e istruzione, di beni di consumo e politiche democratiche, la piaga della violenza verso il “secondo sesso” non solo è presente, ma si è trasformata in una vera emergenza politico-sociale.
Così, non più l’indigenza economica o l’assenza di istruzione possono essere considerate l’humus di generazione dell’abuso e del maltrattamento femminile. Un nuovo soggetto, istruito e benestante, spesso professionista o dirigente ne è ormai il protagonista.
L’ottobre scorso il Consiglio d’Europa, in occasione della presentazione dell’ “Osservatorio criminologico e multidisciplinare sulla violenza di genere”, che in Italia si occupa dell’ assistenza alle vittime, ha pubblicizzato i dati emersi da uno studio condotto a riguardo della condizione femminile nel mondo occidentale. Non il cancro o l’ipertensione e nemmeno gli incidenti stradali sono da considerarsi la causa prima di morte o invalidità permanente delle donne fra i 14 e i 44 anni, bensì il maltrattamento e la violenza da queste subita da parte di mariti, partner o padri.
Fin dal 2001 il ministero della salute francese, Amnesty International e l’Organizzazione Mondiale della Sanità denunciavano l’urgenza della situazione femminile nella società moderna e “civile”.
A seconda dei paesi, la percentuale di mogli, figlie, compagne vittime di sevizie e abusi varierebbe dal 25 al 50%. In Portogallo la percentuale delle donne che dichiarano di aver subito violenza si attesta al 52,8%. In Germania ogni anno quasi trecento donne sono assassinate dai loro conviventi: tre vittime ogni quattro giorni. Nel Regno Unito ne è uccisa una ogni tre giorni; in Spagna una ogni quattro, cioè quasi cento all’anno. In Francia mensilmente sei donne – una ogni cinque giorni - muoiono per violenza domestica: un terzo accoltellate, un altro terzo uccise con armi da fuoco, il 20% strangolate e il 10% pestate a morte. E nel nord-Europa, da sempre considerato emblema di libertà ed emancipazione femminile, i dati non subiscono una grande modificazione. In Finlandia annualmente 8,65 donne sono assassinate tra le pareti di casa; in Norvegia 6,58; in Danimarca 5,42 e in Svezia 4,59.
L’Italia compare agli ultimi posti, ma un recente studio promosso dalla sezione italiana di Amnesty e dall’Istat dipinge comunque un’immagine desolante, fatta di violenza domestica capace di provocare in chi ne è vittima conseguenze psico-fisiche importanti. La responsabile del settore formazione dell’associazione “Differenza donna”, Gabriella Paparazzo, sintetizza emblematicamente l’allarmante dato occidentale, rendendo un esempio concreto della sua portata: “In Russia ogni anno sono morte 13.000 donne, il 75% delle quali uccise dal marito. Il conflitto Urss-Afghanistan nell’arco di dieci anni ha mietuto 14.000 vittime”. Poi aggiunge: “Anche negli Stati Uniti e in Svezia i dati sulla violenza femminile sono alti: ogni quattro minuti una donna viene violentata in America, mentre in Svezia ogni dieci giorni una donna viene uccisa”.
I dati, già di per sé agghiaccianti, risultano però piuttosto approssimativi. Rintracciare con certezza le proporzioni del fenomeno della violenza subita dalle donne non è ancora possibile per via della tendenza, da queste dimostrata, a non denunciare la propria condizione. Il meccanismo psicologico di autodifesa, che porta la donna a nascondere per prima a se stessa la più drammatica verità, quella che la vede vittima di un legame affettivo tramutatosi in abuso e maltrattamento, rimane ancora un tabù inviolato.
Responsabili di aver abbandonato le vittime della violenza familiare alla solitudine casalinga e al silenzio, che ha reso ormai il fenomeno una vera emergenza socio-sanitaria, sono certamente i governi occidentali, per troppo tempo trinceratisi dietro alla scusa della non ingerenza nella sfera privata. Medea si è ribellata per molto meno.
www.Aprileonline
08/03/2006
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