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Le capriole insulse e pericolose della scuola in nome della severità e del rigore

Della media dei voti e di altre amenità, ovvero spunti per un trattatello sulla valutazione

SCUOLA - Povera nostra scuola chiamata a tante capriole insulse e pericolose in nome di un ritorno alla severità e al rigore di una scuola di un tempo che fu! Purtroppo, se si guarda indietro, non si vede quello che c’è davanti… e neanche ciò che abbiamo di fronte! Società della conoscenza! Apprendere per tutta la vita! Non lasciare indietro nessuno! Le nuove frontiere delle competenze! Parole parole parole… gettate anche al vento, quando andiamo a leggere gli impasticciati e contraddittori provvedimenti che in questi ultimi mesi sono stati adottati per la scuola! Altro che progetti per dar vita ad un vero Sistema Nazionale Educativo di Istruzione e Formazione! E che risponda anche alle raccomandazioni europee! L’assoluta mancanza di un disegno che guardi lontano e il piccolo cabotaggio sono la sostanza della politica educativa dell’attuale Amministrazione!

Soffermiamoci sul ritorno ai voti! A cosa sono serviti cinquant’anni di ricerca e di pratica curricolare? A cosa sono servite quelle suggestioni che hanno portato alla svolta del ’77, quando abbiamo tutti ritenuto che il voto nella scuola dell’obbligo costituisse un limite alla sua vocazione? Quella di garantire a ciascuno di raggiungere quei saperi essenziali per accedere ad una società che, proprio perché democratica, esige che ciascuno sia consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri e di come esercitarli? Senza le competenze di base non si è cittadini! E sulla strada di una pratica valutativa nuova ci siamo mossi da quel lontano ‘77, la quale “promuovesse” nel senso più alto del termine e non bocciasse: una pratica che avremmo dovuto estendere all’intero nostro Sistema di istruzione! E’ certo che il vulnus inflitto oggi alla nostra scuola è di una estrema gravità!

Ma entriamo nel merito della pratica del voto. Quali sono le riserve, anzi le critiche che da anni abbiamo avanzato contro la valutazione decimale? La ricerca educativa ci ha insegnato che occorre sempre distinguere la misurazione di una prestazione dalla valutazione che potremmo esprimere sulla stessa! Se Alba, in genere “brava”, “studiosa” e “preparata”, aggettivi molto in voga nella terminologia di tanti docenti, “prende” un 4, siamo i primi a meravigliarci e a ricercare tutte le possibili attenuanti. Se, invece, quella “sfaticata” di Bice “prende” 8, pensiamo subito a un caso o a un buon esercizio di copiato! Ma stupore e meraviglia sono altra cosa rispetto ai crudi 4 e 8! E sono la strada con cui tentiamo di comprendere due esiti così diversi e così inattesi! E’ la strada che, quando va oltre il semplice stato emozionale, porta poi a ricercare le ragioni “altre” che hanno condotto a quei risultati fino a formulare, se si vuole, giudizi più articolati e circostanziati: è la strada della valutazione! M ne parleremo successivamente.

Nella medesima prova anche Carla ha “preso” 4: ma è lo stesso 4 di Alba? Forse no e il docente scrupoloso rileva che i due voti non sono proprio comparabili ed interviene aggiungendo un meno, un più, un mezzo o due meno al voto di Carla! E poi avremo altri 5 più, 6 meno meno e così via! Procedendo di questo passo, i voti utilizzati non sono più i dieci interi come vuole la norma, ma diventano venti, trenta ed anche di più! Altre prove saranno state misurate con 7 e con 8, ma… le distanze che corrono tra il 4 e il 5, tra il 5 e il 6 e così via… sono eguali? Assolutamente no! E allora questa scala decimale che diavolo di scala è, se è così difficile individuare non solo lo stesso numero di gradini, ma anche gradini tutti eguali? Il fatto è che, se fossero tutti eguali, si tratterebbe di una “scala ad intervalli”, ma siccome non lo sono, è una semplice “scala ordinale”. Così si esprimerebbe il docimologo! Insomma, i voti attribuiti sono tutti in ordine crescente, ma non sappiamo nulla della misura dei singoli intervalli. Provate un po’ a salire su una scala dai gradini tutti di diversa altezza! Che faticaccia!

Ed ancora! Lo stesso numero di prove (ad esempio 20 compiti in classe eseguiti nella stessa giornata) potrebbe essere stato misurato diversamente da due correttori: il primo costruisce una distribuzione da 3 a 8 e il secondo la costruisce da 5 a 9, ambedue con tutti i più e i meno del caso. Ma, a fronte di un’altra prova, i voti attribuiti dai due correttori potrebbero rovesciarsi: da 6 a 10 e da 2 a 8! Insomma la casistica sulla assoluta incertezza della presunta oggettività del voto è stata largamente dimostrata dalla ricerca educativa! Ma la nostra Amministrazione non lo sa! O finge di non saperlo? Eppure la scala ad intervalli è utilizzata in tanti tipi di prove. Il salto in alto o in lungo o il lancio del peso non danno luogo ad equivoci: la distanza tra il centimetro precedente e quello successivo è sempre la stessa. Lo stesso dicasi per i cento metri, laddove la durata del minuto secondo e perfino dei suoi decimi è sempre la stessa.

Finora abbiamo considerato una prova eseguita da più soggetti nello stesso tempo o situazione. Ora invece vediamo che cosa succede quando si considerano più prove eseguite dal medesimo soggetto, ma in tempi diversi. Se un atleta olimpionico compie tre salti per qualificarsi, vale il salto migliore. Se Alba esegue tre compiti in classe, non vale il migliore! Perché qui entra in gioco la media!!! E se la stessa cosa valesse per il campione olimpionico? Se Alba in cinque interrogazioni raggiunge in successione i voti di 2, 3, 4, 5 e 6, la media è 4. Se Carla raggiunge i voti di 6, 5, 4, 3 e 2, la media è sempre 4! Viene da chiedersi: la media, anche se richiesta dalla norma di sempre, rispecchia fedelmente, “matematicamente”, direi, le due situazioni? Indubbiamente no! E dov’è la certezza del voto, così conclamata dall’attuale Amministrazione?

Ed ancora. Se Antonio “prende” 2 nella prima guerra punica, 3 nella seconda e 4 nella terza, forse il calcolo della media ha una sua giustificazione. Ma, se Antonio “prende” 2 nella prima guerra punica e qualche giorno dopo “prende” 8 sulla medesima guerra, la media del 5 è giustificata? Insomma, la media ha una sua validità per un insieme di prove eseguite da più soggetti nello stesso tempo/situazione, ma penalizza o premia a fronte di una distribuzione di prove effettuate dal medesimo soggetto in tempi diversi. La media nel primo caso mi rappresenta lo stato di un gruppo, nel secondo invece dà luogo ad esiti sempre discutibili!

Se il piccolo Filippo stasera ha 37 di febbre, domani 38 e poi 39 e poi 40, mi gingillo con la media o mi devo preoccupare? Diverso è l’andamento di Antonietta, che dopo un 41, scende a 40, poi a 39, poi a 38 e a 37! Ricorriamo alla media? E vediamo un altro caso: Mariolina ha 38 di febbre e la mamma si preoccupa e vuole consultare il medico; il papà, invece, ritiene opportuno attendere prima di ricorrevi. Ed ora facciamola più complessa: l’esito di un elettrocardiogramma dà certi dati e il medico di famiglia decide di rinviare il paziente allo specialista. Il paziente ricorre al luminare x il quale non rileva nulla di allarmante e consiglia di stare tranquilli. Ma il paziente, preoccupato, ricorre al luminare y il quale, invece, ritiene opportuno ricorrere all’intervento chirurgico… e subito! Si tratta di piccoli, ma banali esempi che ci conducono a dire che un conto sono certi dati, i gradi di un termometro, l’esito di un elettrocardiogramma, altra cosa è la lettura che si dà dei medesimi dati, che può essere diversa; come diverse le decisioni che si assumono! E perché tutto questo? Perché entrano in gioco altri criteri, che vanno oltre il dato e attengono al giudizio valutativo dell’attore. Il valutare è, quindi, altra cosa dal misurare! Ma che succede con l’esclusività del voto? Che lo usiamo indifferentemente sia per misurare che per valutare: lo stesso strumento per due operazioni diverse, la seconda ben più complessa della prima!

Pertanto, in un processo di apprendimento, che è un trend che si sviluppa nel tempo – una variabile di tutto spessore – dovranno adottarsi criteri diversi dal puro esito dei voti e della loro media. E’ qui che insorge l’operazione del valutare, quindi di attribuire valore ad un insieme di dati, e si tratta di adottare criteri che vanno oltre gli esiti certi e rigidi di una o più misurazioni. In un percorso obbligatorio, ad esempio, il team docente potrebbe adottare i seguenti criteri (in ordine con quanto viene suggerito dal dpr 275/99 che all’articolo 4, comma 4 recita: “Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche… individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati”), ovvero considerare come punti di attenzione e riflessione alcune circostanze, relative a ciascun alunno, quali, ad esempio: * gli esiti delle misurazioni effettuate, * le condizioni in cui si sono effettuate le prove, * i livelli di partenza, * i ritmi e gli stili di apprendimento, * l’interesse, l’impegno, la partecipazione, * le potenzialità, le attitudini, le attese, * il contesto socioeconomico e culturale, * gli interventi compensativi adottati, * i “pre-giudizi”, o meglio le attese, degli stessi docenti… e quest’ultimo è il criterio più difficile perché mette in gioco l’insegnamento realizzato dal team e le strategie adottate.

Ma questi criteri sono solo indicativi, ce ne possono essere altri, dieci o mille, a seconda delle scelte effettuate dal team, ma da compiersi sempre prima dell’avvio delle stesse attività didattiche. Occorre che il team sappia come intende misurare e quali criteri adotta per valutare e assumere decisioni. Anche perché è bene che i destinatari stessi dell’apprendimento ne siano debitamente informati. E’ la Carta dei servizi scolastici che si esprime in tal modo: si veda il Contratto formativo, oggi Patto di corresponsabilità.

Ed è importante che i criteri adottati siano condivisi da tutti gi attori del team, per non cadere nell’errore di sempre per cui, quando si dice sufficiente, o bravo, o bene, o inadeguato o scarso o… chessoiooo, un docente intende una cosa e un altro un’altra cosa! Il fatto è che la casistica degli aggettivi e degli avverbi è infinita perché la lingua standard è ricchissima. Ma il linguaggio valutativo dovrebbe essere un linguaggio settoriale, specialistico! Ma così non è… almeno nella nostra scuola! Un medico o un giudice non potrebbero esprimersi con lo stesso linguaggio che usano in famiglia quando prescrivono medicinali o emettono sentenze! Purtroppo il pressappochismo vale solo per la scuola e per la sua approssimatissima competenza valutativa.

Ma non finisce qui! Anche le prove cosiddette oggettive, ad esempio un test a scelta multipla di 50 item con 4 scelte di cui una sola esatta, non sono più tali se l’insegnante decide che la soglia di accettabilità (cioè la sufficienza per dirla in termini di voti), può attestarsi, ad esempio, sui 40 punti o sui 20, a seconda del livello di difficoltà della prova! Si tratta di un intervento valutativo soggettivo effettuato su di una prova per sua natura oggettiva!

E su questa strada si potrebbe continuare all’infinito! Mi sono limitato a castigare ridendo mores, come voleva Giovenale, più che misurarmi con discorsi complessi per i quali rinvio agli specialisti del settore! Gli esempi indicati sono di una banalità sconcertante, è vero, ma intendono sollecitare una riflessione seria su ciò che ci viene imposto e sugli effetti che il ritorno al voto provocherà! Non l’avvio ad una scuola più severa, che tutti sempre vogliamo, ma ad una scuola più selettiva, nel senso peggiore del termine!

Ed il vulnus sotterraneo inferto all’obbligo decennale – a un mese di distanza non sappiamo ancora come andrà a finire – è un segno eloquente! O tempora o mores! Direbbe Cicerone!

Roma, 25 aprile 2009

Maurizio Tiriticco
28/04/2009
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