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Pedagogia della lumaca o... pedagogia del gambero?

ITALIA SCUOLA - Gianfranco Zavalloni (La Pedagogia della Lumaca. Per una scuola lenta e nonviolenta, EMI Bologna 2009) fa molto bene a ricordarci che sarebbe necessario attivare, soprattutto nei bambini più piccoli, processi educativi, formativi e istruttivi (dpr 275, art. 1, c. 2) all'insegna della l e n t e z z a a a !!! In altre parole, a fronte di una società sempre più impaziente, malferma, incerta e liquida, certi valori... o più semplicemente certi atteggiamenti e comportamenti da considerare "normali", rischiano di finire a gambe all'aria! Non so fino a qual punto sia noto il malessere di tante maestre di scuola dell'infanzia e primaria - purtroppo i maschi disertano questi gradi di scuola e non sanno quello che perdono! - di fronte all'improduttiva e costante irrequietezza emotiva e comportamentale di tanti bambini che sono loro affidati. Irrequietezza che fa pendant con quella di tanti genitori che vorrebbero "tutto e subito" dai loro bambini e non sanno neanche che cosa sia! Il fatto è che essere genitori oggi è un mestiere - perché sempre di un mestiere si tratta - sempre più difficile! Quanti genitori, incapaci di governare se stessi, si separano dopo due o tre anni dal loro allora felice matrimonio e sono anche incapaci di governare quei figli che hanno messo al mondo a volte con notevole leggerezza, se non con alta irresponsabilità!

Insomma, i motivi delle inquietudini sono molteplici e passano trasversalmente dai fattori puramente economici - incertezza del lavoro, del salario, del futuro - a quelli emotivo/affettivi e, di fatto, comportamentali. Se poi aggiungiamo tutte le perverse sollecitazioni che ci vengono dall'esterno, dai videogiochi sempre più accattivanti ai telefonini sempre più ricchi di possibilità straordinarie e forse... di nulla, il gioco... perverso è fatto! E neanche l'antico festìna lente può avere un certo fascino, in quanto è diventato un vero e proprio festìna rapide!

Insomma, la sollecitazione del "sempre più in fretta" avrà pur i suoi vantaggi in certi settori dell'economia, se si produce di più in meno tempo ma... i salari restano quelli che sono! Ma qui il discorso si fa più difficile e non ho le competenze per affrontarlo! Resta pur sempre il fatto che questa accelerazione degli eventi e la corrispondente contrazione dei tempi non fa affatto bene a nessuno: gli adattamenti dell'homo erectus e poi del sapiens ai cambiamenti del clima e delle offerte della natura sono stati sufficientemente lenti ed hanno consentito che altrettanto l e n t a m e n t e si verificassero e si consolidassero via via gli opportuni adattamenti. La velocizzazione che oggi viene imposta agli umani - e dagli stessi umani - non consente loro gli adattamenti necessari, per cui rischiano di saltare quegli equilibri emotivo/affettivi e comportamentali di cui invece tutti abbiamo estremo bisogno! In tale contesto, il settore dell'educare, formare e istruire dovrebbe essere immune, data la sua natura e i suoi fini, da tale irrefrenabile velocizzazione, ma non è così! Il sottosistema scuola è pur sempre una variabile dipendente dal sistema società, per cui ineluttabilmente finisce con il soffrire di tutti i limiti di cui questa oggi soffre!


Se da un lato i nostri insegnanti non riescono ad attuare la pedagogia della lumaca, dall'altro chi li governa sollecita la pedagogia del gambero! Quanto consapevolmente non so, ma... La nostra amministrazione scolastica si è dimostrata estremamente sollecita a recepire quanto in alcune scuole avanzate dei Paesi ad alto sviluppo si viene realizzando, anche con un deciso sostegno offerto dalla stessa Unione europea. Alludo alla svolta che potremmo chiamare, anche con una certa enfasi, epocale, quella che ci invita a far sì che i sistemi di istruzione e di formazione non si limitino più a valutare le conoscenze terminali raggiunte dagli alunni, ma, facendo un deciso passo in avanti, a certificare addirittura le competenze da loro acquisite.

Che significato assume una proposta del genere? Andiamo ai fatti. Fino a qualche tempo fa la vita dell'uomo era scandita in tre tempi ben distinti: il tempo della scuola, comunque non sempre aperta a tutti; il tempo del lavoro; il tempo della pensione e della vecchiaia. La scuola erogava conoscenze; queste, una volta utilizzate ed esercitate in positivo nel mondo del lavoro diventavano competenze e duravano pressoché per tutta la vita lavorativa. Ciò non significa che la scuola e molti insegnanti non si adoperassero anche perché le conoscenze diventassero ibi et tunc competenze, anche se non le si chiamava così. Un bravo insegnante di lettere si adoperava perché il maggior numero dei suoi alunni raggiungessero la competenza linguistica, o meglio un corretto e produttivo uso della lingua madre. Egualmente si può dare per un valido insegnante di matematica: il saper contare apriva la strada anche alla competenza matematica! E così via in moltissimi casi! Va però anche considerato che gli stessi studenti, una volta entrati nel mondo del lavoro, si rendevano conto, nella stragrande maggioranza dei casi, che ciò che avevano imparato a scuola era assolutamente insufficiente per affrontare la realtà lavorativa. Quanti di loro e di noi hanno e abbiamo detto che è nella realtà occupazionale che poi si diventa padroni del vero "saper fare": a volte addirittura quando abbiamo dimenticato ciò che la scuola ci ha dato, perché è nel lavoro concreto che ci si misura e che, come si suol dire, si impara il mestiere!

La crasi di sempre tra l'imparare e il fare, tra la scuola e il lavoro è sempre esistita in tutte quelle società in cui i tre tempi della scuola, del lavoro e della pensione erano ben scanditi. Oggi non è più così! I tre tempi si confondono sempre più l'uno con l'altro. La crescita esponenziale dei saperi e delle loro applicazioni mette in crisi giorno dopo giorno anche le competenze più solide, se non più solidificate! Non c'è lavoratore che, qualunque cosa faccia, non debba costantemente misurarsi con il "nuovo" che riguarda il suo "saper fare", che non debba mettere in costante discussione le competenze che possiede per acquistarne altre, ed anche in fretta - il festìne rapide - per evitare di essere espulso dai processi lavorativi.

E' per questo insieme di ragioni che ai processi di educazione, formazione e istruzione sono stati proposti obiettivi più avanzati per i loro alunni, che vanno oltre l'apprendimento di conoscenze per garantire anche l'acquisizione di competenze che possano direttamente essere impiegate nel mondo del lavoro. Si tratta di competenze che riguardano tre ampie aree: quella civile, di cui alle competenze utili all'esercizio della cittadinanza attiva (lavoratore sì, ma in un contesto europeo, se non internazionale, in cui diritti e doveri costituiscono la rete primaria in cui si vive e si opera); quella culturale (disporre di un minimo di conoscenze che permettano di orientarsi in un mondo in cui oggetti colti si fanno sempre più numerosi e che è necessario comprendere per non essere emarginati e per arricchire costantemente l'osservazione e lo spirito critico); quella preprofessionalizzante e professionalizzante in senso stretto (vi sono studi che comportano studi ulteriori, e studi che conducono direttamente a competenze immediatamente spendibili).

Se questi sono, ad ampio spettro, gli obiettivi che una società non più lineare e articolata di un tempo, ma sistemica e complessa, propone ai sistemi di educazione, formazione e istruzione di tutti i Paesi ad alto sviluppo, che cosa dovrebbe fare la nostra amministrazione? Semplicemente regolarsi di conseguenza e avviare un riordino del sistema di istruzione che sia in grado di proporsi e realizzare obiettivi così ambiziosi: un riordino in cui, in primo luogo, siano indicate con chiarezza le competenze terminali da accertare e certificare e, in secondo luogo, si disegni una strategia di insegnamento/apprendimento che sia congruente con finalità così impegnative.

In effetti, però, come ha operato la nostra amministrazione? Per quanto riguarda le competenze terminali, si è limitata a rabberciare quelle di fine obbligo accompagnate da un modello di certificazione assai discutibile; per quanto riguarda le competenze terminali di quinquennio, le Indicazioni per i licei glissano, le Linee guida per i tecnici e i professionali sono ancora in elaborazione. Eppure va considerato che una svolta di questa natura richiede una organizzazione scolastica totalmente diversa rispetto a quella che abbiamo ereditata da un lontano passato. La rigidità della distribuzione delle materie, degli orari e delle classi di età non è affatto funzionale a obiettivi così nuovi e ambiziosi. E le proposte di cui all'autonomia e alla flessibilità sono difficilmente praticabili. Ed ancora: il semplice fatto che l'alunno sia sempre un oggetto più che un soggetto di apprendimento è estremamente grave. Un triennio postobbligatorio in cui, nonostante un'apparente distinzione dei percorsi, l'alunno è tenuto a studiare tutte le materie ed escluso da qualsiasi scelta personale è un grosso limite: che non si riscontra in nessuna scuola avanzata e che sia orientata veramente a "lavorare per competenze".

La nostra amministrazione, da un lato, tenta di proporsi obiettivi ambiziosi solo per non farsi bacchettare dall'Unione europea, senza però avere nessuna chiarezza in merito (che cosa sia veramente una competenza penso che la nostra amministrazione non lo sappia affatto: la scrive a iosa in tutti i suoi documenti, ma non scende mai nello specifico), dall'altro, insiste nel mantenere e consolidare l'organizzazione di sempre, quella di gentiliana memoria che in fatto di competenze... non ci azzecca affatto! Insomma, l'ancoraggio al passato è ben più forte della proiezione nell'avvenire! Altro che pedagogia della lumaca! Questa è la pedagogia del gambero!

 

Maurizio Tiriticco
25/03/2011
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