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Avere una famiglia o essere in una famiglia? La comunità come crescita umana e di fede

LA LOCANDINA di don Giovanni Mazzillo - Avere una famiglia o essere in una famiglia? Chi non ha avuto o non ha più dalla vita l'opportunità di averne una, deve cercare di vivere una qualità di rapporti con gli altri che ricostruisca una qualche forma di vita comunitaria, perché la comunità è indispensabile tanto per la crescita umana quanto per quella della fede. Talvolta si può rinunciare ad alcune abituali forme di vita familiare, per consacrarsi più specificamente al Signore, come nel caso di Samuele (prima lettura) o per occuparsi delle cose del Padre celeste, come dice Gesù nel Vangelo. Ma ciò non significa rinchiudersi un uno splendido isolamento. Significa semmai ritrovare e vivere intensamente la propria identità all'interno di un'autentica comunità, attraverso la ricostruita familiarità con altri che sono già in rapporto con Dio, tramite il tempio e le Scritture, come succede con Gesù. In tal caso la libertà dalla famiglia non è una fuga nel disimpegno, ma è solo un atto di una più radicale ubbidienza, che proprio per questo fa attingere una libertà ancora più intensa.

PREGHIERA
Mio Dio, ti ringrazio perché mi hai fatto muovere ieri
i miei primi passi nel deserto della vita
con un papà e una mamma, che m'hanno insegnato
ad attraversarlo, nonostante le sue asperità;
ed oggi invece mi fai essere in una famiglia più grande.
È quella che tu hai radunato e ogni giorno raduni,
richiamandola dal suo esilio,
perché restando in cammino elevi verso di te
i suoi pensieri e nell'assenza di ogni agio
possa scoprire ogni giorno
l'incalcolabile ricchezza del tuo amore.
A questa più grande famiglia mi avevi come predestinato
perché insieme ci occupassimo di te;
ti prego pertanto che non venga mai meno la gioia
di camminare tutti insieme, obbedendo alla tua Parola,
che corre sempre più avanti e ci addita
gli spazi infiniti della libertà. (GM/27/12/09)

Primo libro di Samuele (1,20-22.24-28) - Al finir dell'anno Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuèle, «perché - diceva - al Signore l'ho richiesto» ... Dopo averlo svezzato, lo portò con sé, con un giovenco di tre anni, un'efa di farina e un otre di vino, e lo introdusse nel tempio del Signore a Silo: era ancora un fanciullo. Immolato il giovenco, presentarono il fanciullo a Eli e lei disse: «Perdona, mio signore. Per la tua vita, mio signore, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch'io lascio che il Signore lo richieda: per tutti i giorni della sua vita egli è richiesto per il Signore». E si prostrarono là davanti al Signore.

Luca (2,41-52) - I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

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*Testi ripresi dalla precedente locandina dello stesso ciclo liturgico dell'anno 2009

29/12/2012
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