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Donne in marcia contro la violenza

«Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sia nella vita pubblica che privata» è una violazione dei diritti umani. [Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne.]

La voce di donna arriva per telefono, sono le sette di sera, in lontananza i rumori chi dovrà occuparsi della cena nella casa accoglienza del centro antiviolenza di Imola: "Non sono stati gli schiaffi, forse a quelli mi ci ero abituata. E neppure le botte, la violenza, quel fare sempre quello che voleva lui. Io ho detto basta quando mi trascinava davanti allo specchio e mi urlava: 'Guardati, fai schifo, sei una nullità'. Ecco, il mio riscatto comincia da lì, non dalle botte ma dall'umiliazione...".

Un'altra voce di donna, questa volta "protetta" in uno dei quattro centri antiviolenza Differenza donna di Roma: "Ci ho messo sette anni, sette anni di violenza davanti agli occhi dei miei figli. Poi quando ho detto basta è stato un basta deciso, difficile, drammatico, puoi immaginare cosa significa scappare via da casa tua sapendo che non la vedrai mai più, che non vedrai più le tue cose, e portare con te i bambini, piccoli, ma grandi abbastanza per avere i loro giochi e la loro camera... Ecco, è successo che un giorno, dopo sette anni, ho detto addio a tutto questo... e bentornata a me stessa".

Nel centro Roberta Lanzino di Cosenza vivono cinque donne, una è mamma di due bambini, anche loro vivono qua. Sono tutte italiane, tutte della provincia di Cosenza , hanno dai 35 ai 55 anni. Tra poco potrebbe arrivare una nuova ospite, una studentessa. In loro nome parla la responsabile Antonella Veltri: "Hanno impiegato mesi e anni per arrivare fin qui e quando lo hanno fatto è stato per disperazione assoluta. Oltre alle violenze fisiche e psicologiche qui devono combattere anche la cultura mafiosa. E' un'altra forma di violenza". Che andrebbe aggiunta ai tanti tipi di violenza che le donne possono subire.

Cifre da paura - Voci senza nome. Paura, vergogna, motivi di sicurezza: è terribilmente rischioso in Italia, oggi, anno 2007, dire no a un marito o a un convivente violento, ribellarsi e scappare via, cercare di recuperare la propria autonomia. Provare a smettere di avere paura. Sono voci di donne senza nome che accettano di parlare solo perché "più se ne parla e meno paura ci sarà in giro". Perché, forse, se avesse trovato il coraggio Barbara Spaccino, incinta del terzo figlio, uccisa dal marito, sarebbe ancora viva. E così Hina, la ragazza pakistana uccisa dal padre perché vestiva minigonne e non voleva il velo. E poi Anna, Paola violentata a Torre del Lago, Sara stuprata a Torino da un amico, Carla a Bologna. Anche Mez, la dolce ragazza inglese sgozzata in camera da letto a Perugia ancora non si sa da chi. Sono solo alcuni dei nomi di quel milione e 150 mila di donne vittime in Italia negli ultimi dodici mesi di violenze e abusi, il 22 per cento in più dell'anno scorso, il 5,4 per cento del totale delle donne. Alcuni - nomi - delle 180 morte per le violenze subìte, una ogni due giorni; di quel 3,5% vittima di violenza sesssuale, di quel 2,7che ha subìto violenza fisica e di quelle 74 mila stuprate o quasi.

La giornata contro la violenza sulle donne - "La violenza degli uomini contro le donne comincia in famiglia e non ha confini" è scritto nello striscione che oggi apre, vigilia della giornata mondiale, la marcia delle donne contro la violenza e in nome della propria autodifesa. Manifestazione (raduno piazza della Repubblica, ore 14; info: www. controviolenzadonne. org) partita dal basso, senza cappelli politici, grazie alla forza di mobilitazione di collettivi femministi come Amatrix, Libellule, Feramenta, Assemblea femminile via dei Volsci 22 e degli oltre settanta Centri antiviolenza sparsi in tutta Italia. Una manifestazione nata e cresciuta - hanno aderito il ministero delle Pari Opportunità, della Famiglia e della Sanità e oltre 400 organizzazioni tra cui Amnesty, Arci, Cgil, Udi, le donne del Prc - proprio perché quella massa di cifre e percentuali messi a disposizione quest'anno per la prima volta dall'Istat su richiesta del ministro Pollastrini non diventino solo statistiche. Ma restino volti e storie. Di dolore e, soprattutto, di riscatto.

Gli esclusi, cioè gli uomini - La manifestazione è sessista e le organizzatrici hanno deciso di tenere fuori gli uomini. Le polemiche si sono sprecate in questi giorni. "Non sono d'accordo, è una scelta sbagliata, che non condivido e non comprendo perché proprio in questo tema, nel momento in cui le cifre e i dati ci dimostrano che bisogna intervenire sui modelli culturali e sulla incultura patriarcale, è sbagliato tenere fuori una delle due parti interessate" sottolinea il sottosegretario alle Pari Opportunità Donatella Linguiti. Comunque il corteo sarà grande. E da qualche parte - si novella- gli uomini troveranno posto. Magari in fondo, magari ultimi ma ci saranno.

Una manifestazione femminista

"Il potere di ricatto delle famiglie" - Il 69, 7 per cento delle violenze avviene all'interno delle mura domestiche. Ma solo il 18,2% delle donne che ha subìto violenza in famiglia la considera un reato e solo il 7,2% la denuncia. Bisogna soffermarsi su queste cifre prima di "entrare" nel centro Roberta Lanzino di Cosenza. "L'80 per cento delle nostre ospiti non è autonoma dal punto di vista economico e il ricatto che può fare la famiglia è tale che sei su dieci rinunciano ad arrivare fin da noi, a fare questo passo" racconta Antonella Veltri responsabile del centro. Una signora ha saltato cinque colloqui. Si è fatta viva la prima volta un anno fa. La non cultura mafiosa aggiunge violenza a violenza. "Il potere di ricatto delle famiglie è altissimo e tocca una gamma svariata, dalla solitudine all'infamia, dal 'non vedrai più i tuoi figlì al 'nessuno al paese ti rivolgerà più la parola'". Una volta vinta la minaccia della famiglia, il passo successivo è "farsi credere": "Molte donne, prima di arrivare da noi per un colloquio, sono andate dal maresciallo disperate, gonfie, con i lividi, col referto medico, a una era stato sbattuto in testa l'oblò divelto dalla lavatrice... beh, si sono sentite rispondere 'Signora ci pensi bene, forse è meglio che si tenga suo marito...'". Nei centri si entra solo se c'è volontà di farlo "ma anche quando hanno trovato la forza di arrivare sin qua, il 10 per cento a un certo punto abbandona: la pressione da parte della famiglia o del marito è tale per cui non ce la fanno. Ci lasciano e di loro non sappiamo più nulla". Le altre, a cui la disperazione fa fare quello che non avrebbero mai immaginato - lasciare la famiglia - cominciano un faticosissimo ma meraviglioso viaggio "verso la consapevolezza, l'autostima, la propria autonomia. Il riscatto. Cerchiamo di insegnare loro un mestiere o di valorizzare quello che già sanno fare, troviamo una casa, una stanza, soprattutto le accompagniamo verso la separazione e il divorzio prima, il processo penale poi, un altro appuntamento a cui si arriva con molta difficoltà perché non ci sono pene per i mariti violenti".

"Dopo sette anni ho smesso di avere paura" - Maria, nome di fantasia, ha 30 anni. Mancano pochi minuti alle quattro e deve scappare a prendere i suoi figli a scuola, "sperando di non trovare lui che mi aspetta da qualche parte". Parla da uno dei centri Differenza Donna di Roma. "Sono riuscita a dire basta in modo deciso dopo sette anni di botte, insulti, umiliazioni, paura. Ma quando ho deciso è stato un basta definitivo. Non saprei dire cosa e quando: è successo che un giorno davanti a me non avevo altra via se non quella di andarmene. All'improvviso ho smesso di avere paura. Così ho guardato per l'ultima volta la mia casa e le mie cose che non avrei più rivisto, ho preso i miei due figli e sono venuta qua. Due, tre mesi prima avevo trovato il coraggio, aiutata dall'assistente sociale, di prendere il telefono, fare quella telefon0326ata e chiedere aiuto. La cosa più difficile era proprio raccontare quello che mi succedeva, far capire come era lui, il mio ex marito, come poteva cambiare all'improvviso dentro le mura di casa. La paura più grande, a quel punto, era quella di non essere creduta". Con l'assistenza del centro Maria ha potuto fare tre denunce penali e ha cominciato a ricostruire se stessa "perché ero distrutta. I miei figli sanno tutto, o meglio sapevano già perché hanno sempre visto tutto. Diciamo che adesso sanno dove è il bene e dove è il male e hanno imparato a rispettarmi di nuovo e a riconoscermi autorevolezza". Maria potrà stare qui sei mesi- un anno. "Durante il giorno lavoro come donna delle pulizie, qualche ora per non far mancare nulla ai miei bambini. Prima non lavoravo. Devo cominciare a guardarmi intorno perché tra sei mesi, un anno, dovrò fare da sola ed essere autosufficiente. Per me, per i miei figli, per la mia nuova vita".

Un problema culturale - Sabrina Frasca, responsabile di un centro Differenza donna, spiega che sarebbe "fondamentale, a livello generale e nell'interesse di tutti, poter lavorare e mettere in discussione il modello culturale patriarcale nel rapporto uomo- donna", non solo tra marito e moglie ma anche tra padre e figlia o tra superiore e dipendente, "ovunque ci sia una relazione donna-uomo in rapporto di autorità". "Solo così - aggiunge - si può sperare, in un tempo medio lungo, di poter correggere le statistiche disperate sulla violenza del partner e dentro le mura di casa". Alla cooperativa Trama di terre, in Romagna, le ospiti sono quasi tutte straniere, per l'esattezza nove mamme e dieci bambini. Le nazionalità coprono mezzo atlante geografico: Russia, Tunisia, Marocco, Angola, Pakistan, Romania, Armenia. Sono mogli-bambine di matrimoni combinati che poi una volta in Italia scappano dalla casa-prigione; ci sono ragazze cacciate di casa perché incinte; una ragazza rom di 23 anni abbandonata dal marito con due figli. "E' qui da pochi giorni - racconta Tiziana Dal Pra, responsabile del centro - ci guarda e ripete: da noi se una donna parla troppo il marito la picchia". Arriva al telefono Anna, un altro nome di fantasia, 32 anni, straniera, arrivata in Italia tre anni fa, primo approdo Bologna, una bimba - allora - di di cinque mesi: "Ho trovato lavoro come commessa. Tra poco andrò a vivere con mia figlia in una casa che divido con un'altra donna che ho conosciuto nel centro. Ora mi guardo allo specchio e sono fiera di me". Prima c'era stata una storia di violenze, botte e umiliazioni infinte. Anna era la "prima" voce parlante di questo viaggio nel dolore e nel riscatto: "Mio marito vedeva la tivù qui in Italia, vedeva le donne in tivù poi si girava verso di me e mi diceva che facevo schifo, che ero una nullità, che non avrei mai combinato nulla nella mia vita, mi trascinava davanti allo specchio e mi diceva 'ma guarda come sei diventata'. Adesso io ho un lavoro, tra poco avrò una casa mia, saprò crescere mia figlia e insegnarle ad avere rispetto di sé".

Oggi saranno tutte in marcia, a Roma. Anna, Maria, i loro figli e le altre avranno un cartello, uno striscione tradotto in tutte le lingue: "La violenza non ha né cultura né religione né nazionalità. Ha solo un sesso".

Fonte: Repubblica.it
24/11/2007
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