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I valori della Liberazione ancora guidano l'Italia

Napolitano, lezione di storia a Berlusconi. Una messa a punto chiara e indiretta, ma senza infierire. "La Liberazione fu per l'Italia il frutto di innumerevoli sforzi, coerenti nello spirito e negli scopi, anche se distanti nei modi". Sforzi che "anticiparono, accompagnarono e spesso integrarono l'intervento pur determinante delle forze angloamericane", ha detto ieri il presidente della Repubblica parlando al Quirinale alle Associazioni combattentistiche e d'arma. Per la prima volta riunite tutte insieme, in occasione del 25 aprile.

Una sintesi estrema, quella di Giorgio Napolitano, per nulla in sintonia con le parole che poche ore prima aveva diffuso, per radio, l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Che nei suoi cinque anni di guida del governo mai aveva partecipato alle cerimonie ufficiali organizzate da Ciampi al Quirinale. Secondo il Cavaliere "in occasione del 25 aprile noi dobbiamo ancora dire grazie a una grande democrazia che ci ha salvato dal nazifascismo per ridare a noi libertà e dignità. Credo che questo ce lo dobbiamo ricordare anche di fronte a certo antiamericanismo ideologico della sinistra". Berlusconi, intervistato dalla radio, va oltre. Dice di non aver mai partecipato alle feste della Liberazione perché nelle ricostruzioni "la realtà storica viene stravolta, e vengono utilizzate una contro l'altra". La Liberazione, ammette, "è stata merito dei partigiani, ci mancherebbe altro. Ma sono avvenute anche cose molto sanguinose come ben illustra il libro di Pansa".

Di tutt'altro stile le parole di Napolitano, al Quirinale, in attesa della celebrazione formale che prevista per oggi a Cefalonia, in Grecia. La Lotta di Liberazione, spiega il presidente dando quasi l'impressione di una lezione privata di storia a uso esclusivo dell'ex presidente del Consiglio, fu "innanzitutto moto spontaneo delle coscienze, che si estese dalle Fosse Ardeatine a Marzabotto, da porta san Paolo a Cefalonia, dalle montagne italiane ai Balcani, dalle carceri di Regina Coeli e san Vittore ai lager nazisti. E fu sacrificio di tantissimi italiani, insieme con vaste schiere di giovani soldati americani, inglesi, francesi, canadesi, polacchi e di altri Paesi alleati". Quasi una rassegna dei cimiteri di guerra sul territorio italiano, a smentire alla radice qualsiasi accusa di trascuratezza.

Non basta. Spiega Napolitano (a Berlusconi, e certo non solo a lui) parlando degli sforzi italiani che "anticiparono e accompagnarono" l'intervento "pur determinante delle forze angloamericane" quello che fu il ruolo determinante ed essenziale della Resistenza popolare. Nelle sue varie forme. "La lotta partigiana in armi, le azioni di combattimento delle Forze armate in Italia e all'estero dopo l'8 settembre, la resistenza dei deportati e degli internati nei lager e quella spontanea delle città come dei piccoli comuni, fino all'azione, spesso silenziosa e misconosciuta, di tantissimi singoli cittadini". Ecco perché, dice Giorgio Napolitano (primo capo dello Stato proveniente dalla storia del Pci) la Liberazione fu in effetti anche "premessa e condizione per un'Italia nuova, per la Costituzione, per la faticosa ed entusiasmante edificazione di una democrazia vitale per la rinascita economica e sociale, per lo sbocciare della realtà istituzionale dell'Europa e delle organizzazioni internazionali". E dunque "anima e strumento del multilateralismo" in vista del "superamento della contrapposizione tra i blocchi ideologici e militari. Alla presenza, nel salone degli specchi al Quirinale, del ministro della Difesa Parisi (impegnato a ricordare come "le Forze armate guardano con orgoglio alle gesta dei combattenti di allora") il presidente della Repubblica ha ringraziato i cittadini in armi impegnati ad "affermare i valori italiani sia in Patria sia nei diversi teatri impegnativi dove i nostri sono chiamati ad operare".

Fonte: Repubblica.it
25/04/2007
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